Interviste
Intervista a Brian MacAulay, direttore del programma Innovation Index - NESTA
In questa intervista Brian MacAulay, direttore del programma Innovation Index di NESTA (Fondo nazionale britannico per l’arte la scienza e la tecnologia) fornisce qualche dettaglio sul report “Innovation in Public sector organisation – a pilot survey for measuring innovation accross the public sector” e sui risultati più significativi (maggio 2011)
D. La prefazione del report definisce questo lavoro come uno “strumento per incoraggiare l’innovazione in un’economia più complessa”. Quali sono, in questo contesto, i motivi principali che hanno spinto a produrre questo studio e le sue future possibili applicazioni? Quali i principali target?
R. Possiamo considerare questa iniziativa legata al settore pubblico come un intervento all’interno di un progetto più ampio di misurazione dell’innovazione in UK. Mi riferisco al programma Innovation Index commissionato dal Governo a partire dal libro bianco Innovation Nation del 2008.
L’idea da cui è nato questo lavoro di indagine è collegata ad un’assenza significativa di strumenti e modelli strategici per valutare le capacità innovative del settore pubblico. Siamo partiti da un’analisi di metodologie già esistenti di misurazione dell’innovazione e spesso mutuate e già utilizzate nel settore privato. In particolare, abbiamo considerato tre approcci, il primo basato sulla misurazione dell’investimento economico per l’innovazione, l’altro sull’applicazione di strumenti di diagnosi e analisi organizzativa ed infine un terzo fondato su un lavoro di survey, di studio e comparazione di dimensioni legate all’innovazione.
Il valore aggiunto di questo approccio, che è ancora in fase pilota, è quello di poter generare una scheda di valutazione organizzativa per il settore pubblico e per le sue diverse componenti, una sorta di “prima fotografia” sulle capacità e strategie innovative delle organizzazioni pubbliche. Nella stesura di questa ricerca abbiamo lavorato a stretto contatto con il National Health service (Sistema sanitario nazionale) ed alcune amministrazioni locali: questi due ambiti - sanitario e governo locale - sono gli oggetti della nostra indagine.
Per quanto concerne i target di questo lavoro, sono essenzialmente i policy maker e gli amministratori, cioè quei soggetti che all’interno dell’organizzazione rivestono un ruolo strategico e in grado di influenzare le aree con una maggiore capacità innovativa ed in grado di migliorare le performance. Abbiamo quindi due target principali, da una parte la classe politica, le cui decisioni possono influenzare le condizioni più ampie di sistema, dall’altra gli attuali leader delle organizzazioni che si stanno cimentando a misurare la loro capacità innovativa e il modo in cui è possibile raffrontarsi con organizzazioni simili nel loro settore.
D: Il modello da voi proposto si basa su un “Framework for Innovation in Public Sector Organisations” e specificamente su 4 categorie -, attività innovative, capacità innovative, impatti sulla performance, condizioni di settore per l’innovazione. Può darci qualche altro dettaglio a riguardo?
R: Il nostro obiettivo era estendere le analisi oltre le sole attività innovative così da essere in grado di mostrare se l’organizzazione ha in realtà le capacità organizzative per erogare servizi innovativi. Il modello prodotto si basa su questa ipotesi di fondo e intende studiare nel dettaglio le modalità ed i fattori attraverso cui l’innovazione è prodotta nelle organizzazioni.
In questo ambito, la maggioranza dei dati che abbiamo raccolto fanno riferimento alle attività – come si sviluppano nuove idee, come sono selezionate, implementate e diffuse – e alle capacità – gestione dell’innovazione, cultura, leadership e fattori abilitanti – mentre la dimensione che è risultata essere la meno sviluppata o per lo meno quella su cui abbiamo ottenuto meno informazioni, perché fuori dal controllo organizzativo e individuale, è quella relativa alle condizioni di settore che fa riferimento a come il sistema, in cui è inserita e opera l’organizzazione, sostiene o ostacola l’innovazione stessa. Contiamo naturalmente di arricchire questa area con ulteriori informazioni e dati.
D: Una sezione del report si focalizza sugli impatti dell’innovazione. Emerge sostanzialmente che l’attività innovativa è stata, negli ultimi anni, collegata al miglioramento dell’efficienza dei servizi ma nel prossimo futuro dovrebbe essere legata invece anche alla creazione di partnership con la comunità locale. Questo punto è interessante anche perché rimanda all’idea di Big Society, ora particolarmente importante nell’agenda pubblica inglese. Cosa pensa di questa transizione delineata nel report?
R: Il tema dell’efficienza è stato fondamentale in Gran Bretagna negli ultimi decenni e naturalmente continua ad essere un fattore chiave. Considerando però ad esempio l’ambito locale, la leva dell’efficienza risulta da sola non essere più sufficiente ed emerge significativamente il tema della partnership, del governo condiviso dei servizi nell’ottica di migliorarli.
Questi dati mostrano anche un ruolo significativo, nel coinvolgimento locale, del livello politico che spinge per lavorare insieme ai destinatari dei servizi per conoscere meglio le loro esigenze ed erogare quindi, infine, servizi più efficienti. Se dunque consideriamo un’accezione ampia del termine Big Society - nel senso di lavorare a stretto contatto con le comunità locali- allora certamente questo è un tema che emerge fortemente nel nostro studio sull’innovazione, come una delle leve decisive che la sta caratterizzando e continuerà a farlo nel prossimo futuro.
D: Il report affronta anche il tema, assai importante, della relazione tra livelli di povertà nei vari territori e innovazione. Come avete ragionato su questo punto?
R: L’obiettivo prioritario del report non era mostrare una relazione causale tra innovazione e diversi livelli di povertà. L’elemento su cui volevamo puntare in questo ambito era quello di garantire e fornire ai policy maker e agli amministratori dati e strumenti di misurazione per attività previsionali, senza però appunto dare nessuna risposta o causalità certa e precostituita. Il nostro strumento di indagine ha grosse potenzialità in termini di dati e in tal senso potrebbe risultare utile per effettuare studi di previsione e pianificazione di attività, assistendo così i livelli territoriali nello sviluppo di una strategia innovativa.
D: Come mai la maggior parte degli esempi raccolti sulle attività innovative, nell’ambito della vostra indagine, riguardano la fase di ri-pianificazione del servizio?
R: Gli obiettivi e i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi sono definiti centralmente; in questo modo gli attori locali intervengono rispetto alle modalità di realizzazione delle attività, cioè hanno piena autonomia nel modo in cui raggiungere le finalità generali dei servizi. Questo spiega in linea di massima perché molte delle informazioni che abbiamo ottenuto riguardavano il processo di innovazione del servizio, il modo in cui sono state implementate determinate azioni.
Qui c’è una differenza con il settore privato, dove i diversi competitori sul mercato possono scegliere strategie diverse rispetto ad uno stesso prodotto, per esempio si può scegliere di migliorare prodotti già esistenti oppure immetterne nuovi nel mercato. Questo tipo di competitività rispetto a quale servizio erogare manca nel settore pubblico perché i livelli delle prestazioni sono connessi all’interesse generale e quindi vengono definiti a livello centrale.
D: Ritiene possibile applicare il vostro modello fuori dal contesto nazionale inglese?
R: Direi di si, naturalmente con alcuni distinguo. Abbiamo lavorato a stretto contatto con colleghi di altri paesi; al momento stiamo portando avanti un progetto nei paesi nordici sulla misurazione dell’innovazione nel settore pubblico. Ci siamo anche consultati con la Commissione Europea e l’OECD che stanno entrambi esplorando questa nuova idea di misurazione dell’innovazione nelle amministrazioni pubbliche, anche nell’ottica di sviluppare delle linee guida in grado di assistere durante lo sviluppo di un progetto innovativo. Infine, abbiamo lavorato a stretto contatto con NESTI - National Expert Society for Technological Indicators. Il nostro modello è sufficientemente generale da poter essere diffuso e applicato in altri contesti, tenendo ovviamente in considerazione tutte le questioni di customizzazione legate per esempio alla lingua e ai problemi di definizione e di contesto.
(Traduzione italiana dell'intervista a cura di Vanessa Valastro -Staff DFP)