Tema: Comunicazione pubblica

La comunicazione negli enti pubblici in periodo di campagna elettorale

di Gianluca Gardini

Indice 


Il divieto di comunicazione istituzionale
Il difficile bilanciamento con la funzione sociale della comunicazione pubblica
Il diverso trattamento riservato alla comunicazione istituzionale degli enti locali
L'estensione del divieto e le attività di comunicazione consentite




  Il divieto di comunicazione istituzionale

A seguito dell'approvazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante "Disposizioni sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali", si ripropone il tema dei limiti della comunicazione istituzionale nel periodo temporale che precede la consultazione elettorale.

Il problema è avvertito oggi con maggior forza, se possibile, di quanto non avvenisse sulla scorta della disciplina offerta dalle leggi nn. 515/93 e 81/93, concernenti rispettivamente le elezioni nazionali e locali. Ciò, dal momento che la normativa recentemente varata dal Parlamento muoveva proprio dall'esigenza - tra le altre - di risolvere le ambiguità del precedente regime: in questa prospettiva, l'aver lasciato irrisolto, anzi per molti aspetti aver aggravato le perplessità che circondano la comunicazione istituzionale e pubblica che si svolge nel periodo elettorale, appare come una resa di fronte alla domanda di certezza che proviene dagli enti e dalle istituzioni pubbliche.

In particolare, una delle questioni sollevate dalla nuova disciplina concerne il divieto per tutte le amministrazioni pubbliche, per il periodo che si estende dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, "di svolgere attività di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace svolgimento delle proprie funzioni". Il divieto, sancito dall'art. 9 della legge n. 28/2000, copre ogni forma di propaganda, con qualsiasi tecnica e a qualsiasi scopo effettuata. In base ad esso, le amministrazioni devono astenersi non solo dalle manifestazioni volte ad appoggiare le liste o i candidati impegnati nel confronto elettorale (propaganda elettorale in forma diretta), ma anche da tutti gli interventi che, avendo come finalità principale la promozione dell'immagine politica o dell'attività istituzionale dell'ente, favoriscano una rappresentazione positiva o negativa di una determinata opzione elettorale (propaganda elettora
le in forma mediata).

Attraverso il divieto di propaganda istituzionale si realizza un'ipotesi di applicazione concreta del principio di imparzialità dell'agire amministrativo stabilito dall'art. 97 della Costituzione, la cui importanza è particolarmente evidente nel periodo immediatamente precedente la consultazione elettorale.

La ratio della norma è quella di prevenire i rischi di interferenza e le distorsioni che la comunicazione degli enti pubblici potrebbe indurre rispetto ad una libera consultazione elettorale. Si intende così evitare che l'attività di comunicazione realizzata dalle amministrazioni durante questo periodo "sensibile" possa sovrapporsi ed interagire con l'attività propagandistica svolta dalle liste e dai candidati, dando vita ad una forma parallela di campagna elettorale, sottratta a qualsiasi tipo di regolamentazione. Secondariamente, il divieto è diretto ad impedire il consolidarsi di un vantaggio elettorale a favore dei politici uscenti (incumbents) nei confronti degli sfidanti (challengers), date le innumerevoli facilitazioni, in termini di comunicazione e di visibilità, di cui i primi dispongono in via esclusiva e gratuita. 

 
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  Il difficile bilanciamento con la funzione sociale della comunicazione pubblica

Nondimeno, non pare realistico né desiderabile che nell'intero periodo di campagna elettorale ufficiale - ossia tra i 70 e 45 gg. prima della data delle elezioni - l'attività di comunicazione dell'amministrazione pubblica debba arrestarsi completamente.
Non è realistico perché, come è noto, le attività di comunicazione svolte dalle amministrazioni sono multiformi e atipiche, e ritenere di poterle impedire in toto attraverso un divieto formale di comunicazione politica appare ingenuo, oltre che inefficace. Interviste, conferenze stampa, presentazioni di iniziative e realizzazioni, pubblicazioni di risultati della gestione, possono all'occasione trasformarsi in altrettante forme surrettizie e difficilmente controllabili di comunicazione politica, non meno efficaci di quelle ufficiali. Né un simile effetto pare desiderabile, dal momento che verrebbe lesa una delle finalità istituzionali delle amministrazioni, consistente nella comunicazione cd. di "utilità sociale", effettuata nell'interesse dei cittadini e per garantire la trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

Se questo fosse l'intendimento del legislatore, si rischierebbe di ostacolare la divulgazione di informazioni aggiornate e facilmente accessibili a tutti, riguardanti l'attività pubblica, la normazione, i servizi, le strutture e il loro uso da parte degli interessati. Attività che, senza dubbio, costituisce una forma di servizio pubblico a favore dei cittadini, di cui è la stessa legislazione a farsi carico: si pensi, in generale, all'art. 12 del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che impone alle pubbliche amministrazioni di istituire gli Uffici per le relazioni con il pubblico, con finalità di informazione generale a favore dei cittadini. O, ancora e più in particolare, all'art. 1 della legge 7 giugno 2000, n. 150, in cui si prevede un'attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, diretta a illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l'applicazione; a favorire l'accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza; a promuovere conoscenze allargate e approfondite su rilevanti temi di interesse pubblico e sociale.

Nell'interpretare la scarna disposizione che impone il divieto di propaganda istituzionale nei (circa) due mesi precedenti le elezioni non si potrà trascurare la necessità di tutelare, contestualmente, altri interessi collegati al servizio pubblico di informazione svolto dalle amministrazioni a favore della collettività, che a tale divieto si contrappongono e con esso interagiscono.
Il punto centrale della questione consiste pertanto nel tracciare una distinzione sufficientemente chiara e apprezzabile tra l'attività di propaganda e attività di informazione svolta dalle amministrazioni nel periodo di campagna elettorale. Questo compito, come rileva giustamente la Corte di Cassazione1, si presenta "agevole in astratto", ma irto di difficoltà per quanto riguarda i casi limite che la realtà elettorale spesso offre.  
 
 
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   Il diverso trattamento riservato alla comunicazione istituzionale degli enti locali

Va subito precisato che la problematica appare simile per le diverse forme di consultazione elettorale che si svolgono all'interno del nostro paese, risultando sostanzialmente analoga la disciplina che regola le elezioni politiche, europee, regionali, introdotta dalla legge n. 28/2000.
Nondimeno, alla introduzione della nuova normativa per la par condicio sembra essere sopravvissuta una disciplina "speciale" per l'attività di propaganda istituzionale effettuata dagli enti locali, la cui regolamentazione continua oggi ad essere sancita dall'art. 29, commi 5 e 6, della legge n. 81/93.
Occorre, pertanto, svolgere un discorso articolato che tenga conto delle due distinte tipologie elettorali.

L'analisi della legge n. 28 del 2000 contiene una precisazione che mitiga sensibilmente il divieto di comunicazione istituzionale formulato per tutte le amministrazioni pubbliche (art. 9, comma 1). Un'analoga disposizione, tuttavia, non compare nella disciplina speciale per gli enti locali (art. 29, comma 6, legge n. 81/93).

A questo proposito, appare assai peculiare che la legge n. 28/2000 si preoccupi di precisare puntualmente le abrogazioni espresse e le modificazioni prodotte nei confronti della legge n. 515/93, e, contestualmente, lasci immutata la disciplina contenuta nella legge n. 81/93.
Per un verso, caratterizzandosi la legge n. 28/2000 per la sua vocazione generale, contrapposta alla natura speciale delle disposizioni contenute negli artt- 28-30 della legge per l'elezione diretta del sindaco, l'interprete non risulta affatto agevolato nello stabilire l'ordine di prevalenza tra fonti nella successione di una legge generale ad una precedente legge speciale. Né, per altro verso, risulta comprensibile la ragione ultima per cui il legislatore viene indirettamente ad estendere alle elezioni locali gran parte della disciplina introdotta per le consultazioni nazionali, attraverso la modificazione di alcuni articoli della legge n. 515/93 ad esse riferiti, ma trascura d'altra parte di equiparare le due discipline sotto il profilo della comunicazione istituzionale svolta dalle pubbliche amministrazioni.

In relazione a quest'ultimo aspetto, la differenza non è di poco momento: l'art. 9 della legge n. 28/2000, infatti, dopo aver formulato il divieto ad ampio spettro fissato per le amministrazioni locali, sopra ricordato, sancisce un' importante deroga per le attività di comunicazione "effettuate in forma impersonale e indispensabili per l'efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche". Si tratta di una deroga che testimonia una precisa volontà del legislatore di non ostacolare il regolare e doveroso servizio di comunicazione di utilità sociale, già afflitto da gravi difficoltà a causa della scarsa attenzione che le amministrazioni pubbliche sembrano dedicarvi.
Tale temperamento al divieto di propaganda istituzionale, tuttavia, è previsto espressamente per le sole elezioni politiche, europee e regionali, poiché l'art. 29 della legge n. 81/93 - che, come ricordato, non è espressamente inciso dalla legge n. 28/200 - non riporta una analoga deroga per le elezioni amministrative.

A parere di chi scrive, nondimeno, la ratio sottostante al divieto resta sostanzialmente identica per tutti i tipi di consultazione, nazionali o locali, rendendosi impossibile qualsiasi differenziazione giuridica tra il condizionamento elettorale esercitato dalle varie amministrazioni pubbliche a seconda del tipo di consultazione di in corso.
In altre parole, se l'esigenza è quella di preservare l'imparzialità, la genuinità del confronto elettorale, nonchè di garantire parità di chances a tutti i concorrenti, a prescindere dalla loro qualità di candidati uscenti o sfidanti, è evidente che questa finalità resta assolutamente immutata per le elezioni politiche e per quelle locali. Anche a queste ultime dovrà pertanto applicarsi la deroga della "comunicazione istituzionale indispensabile" sancita per le prime. 
 

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L'estensione del divieto e le attività di comunicazione pubblica consentite

Chiarito questo dubbio iniziale, occorre esaminare più da vicino il contenuto della nuova normativa. Ai sensi dell'art. 9, sopra citato, il divieto di comunicazione istituzionale appare circoscritto alle sole forme di comunicazione sospette di strumentalizzazione propagandistica a favore dei candidati e delle liste in lizza nel confronto elettorale (principio dell'identificabilità), con esclusione delle attività di informazione che devono necessariamente accompagnare le funzioni, le iniziative, i servizi realizzati dalle pubbliche amministrazioni al fine di garantirne l'operatività (principio dell'effettività).

In proposito, una circolare del Ministero dell'Interno (14 aprile 1999, n. 64) emanata in vista delle elezioni amministrative del giugno 1999, precisa la portata del divieto di propaganda istituzionale, facendovi rientrare "solo le attività di propaganda ricollegabili direttamente o indirettamente a qualsivoglia attività amministrativa". In questo modo si chiarisce, anzitutto, l'impossibilità di applicare la disciplina dell'art. 9 della legge n. 28/2000 alle attività propagandistiche svolte in proprio, in via diretta, dai diversi componenti degli organi istituzionali - i quali possono naturalmente agire come qualunque altro soggetto partecipante alla competizione elettorale e non in veste ufficiale di rappresentanti dell'ente -, restando affidata la disciplina di questi comportamenti alle altre disposizioni delle leggi nn. 28/2000 e 515/93 che regolano la competizione elettorale tra i diversi soggetti partecipanti all'agòne politico.

Inoltre, a precisazione dei criteri così stabiliti, che, tutto sommato, restano ancora indeterminati ai fini di un'applicazione concreta, può essere ricordata anche la previsione di cui all'art. 1, comma 5 della legge n. 515/93 - che sopravvive all'entrata in vigore della legge n. 28/2000 e risulta applicabile, per espressa disposizione, anche alle elezioni locali -, la quale limita, a decorrere dal trentesimo giorno precedente la data delle votazioni, la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici, membri del Governo, delle giunte e consigli regionali e degli enti locali nelle trasmissioni informative riconducibili ad una testata giornalistica "esclusivamente alla esigenza di garantire la completezza e l'imparzialità dell'informazione". Tale presenza è poi vietata in tutte le altre trasmissioni (di intrattenimento, sportive, etc.).
La limitazione del divieto alle sole trasmissioni radiotelevisive è spiegabile con i rischi di spettacolarizzazione della campagna elettorale che, più di ogni altro, si ricollegano a questo mezzo di comunicazione.

Un ulteriore chiarimento circa la portata del divieto proviene dalla dottrina pubblicistica, laddove introduce una opportuna distinzione tra la cd. comunicazione di servizio e la comunicazione di immagine: la prima si caratterizza per il favor e l'utilità rispetto all'interesse degli amministrati, mentre la seconda mira in primo luogo a procurare un vantaggio all'istituzione che la utilizza, non ai cittadini cui è diretta.
Estrapolando tali concetti e applicandoli alla fattispecie qui in esame, può ritenersi che alla nozione di "comunicazione di servizio" siano ascrivibili tutte le attività informative relative al funzionamento degli uffici, alla normativa vigente, ai servizi erogati nel territorio, che restano ammesse nel periodo pre-elettorale; mentre nel concetto di "comunicazione immagine" ricadrebbero tutte le attività d'informazione volte a fornire una rappresentazione positiva dell'amministrazione o dei suoi organi, allo scopo di legittimarne l'esistenza e/o l'attività o di promuoverne la riconferma, le quali sono invece da considerare vietate per evitare possibili distorsioni nella competizione politica che precede le elezioni .

Per concludere, ciò che la legge intende scongiurare sono le "occasioni" di propaganda istituzionale, non ogni tipo di comunicazione culturale o politica da parte dell'ente pubblico. La diffusione di informazioni di stretta utilità sociale integra la realizzazione di un servizio pubblico, la cui continuità non può venire meno nel periodo che precede la consultazione elettorale.
Si tratta, sotto quest'aspetto, di garantire la realizzazione dell'art. 21 Costituzione, che, com'è noto, nel suo versante passivo garantisce un diritto ad essere informati a favore dei cittadini. La complessità, in questo caso come in molte altre fattispecie in cui la libertà di informazione incontra altri diritti parimenti meritevoli di tutela, consiste nell'individuare un ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi in gioco.
 
 
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Ultimo aggiornamento: 17/11/05