Tema: Comunicazione pubblica

Il Grande Comunicatore e la comunicazione istituzionale

di Stefano Rolando

Breve agenda per il buon governo
 

In occasione dell'ottava edizione di COM.P.A. (il Salone della comunicazione pubblica e dei servizi al cittadino), dal 19 al 21 settembre alla Fiera di Bologna, uscirà anche il n. 8 di Rivista italiana di comunicazione pubblica, il trimestrale diretto da Stefano Rolando (che è stato, tra l'altro, il fondatore del Salone nel 1994). Un fascicolo ampio di analisi, studi e dibattiti sulla materia che sarà aperto da un editoriale del prof. Rolando dedicato all'agenda di governo rispetto ai nodi essenziali di una rinnovata politica per la comunicazione delle istituzioni. Anticipiamo su Pubblic@ndo il testo di questo editoriale che presenta sicuri elementi di interesse per tutti i nostri colleghi comunicatori pubblici.


Silvio Berlusconi "il Comunicatore"

Se fosse Tacito a scrivere questa storia, questo sarebbe il titolo lapidario e originale, tra altri possibili, per descrivere l'attitudine saliente della personalità di un politico oggi ai vertici dello Stato.

La costruzione di un modello di relazione tra attese, promesse, metafore e interpretazioni ha avuto in lui infatti - nella scena politica italiana degli anni novanta - il più accurato interprete.

Ostacolato in realtà organicamente - a metà decennio - forse dal solo Romano Prodi, secondo un modello simmetrico e per molti versi altrettanto originale, non a caso a suo tempo meritevole di successo.

Da pochi mesi, per la seconda volta, il comunicatore politico vincente ha dovuto cedere il passo al comunicatore istituzionale governante. Sappiamo che non sono uguali le regole del gioco. Il primo può utilizzare un vasto spettro di legittime tendenziosità. Il secondo deve contestualizzare informazione dovuta (quella che gli inglesi chiamano "editoria grigia") e messaggi di reale pubblica utilità. In modo si intende coerente con i programmi di base e con la fisionomia politica della sua maggioranza. E anche in modo "comunicativo", ovvero utilizzando metodi e strumenti che fanno ormai parte di un patto convenzionale tra ogni fonte (pubblica e privata) e la propria utenza. Pena l'invisibilità.

Ma il versante della coerenza - per lo sviluppo che hanno avuto leggi ed esperienze nel nostro paese in questi anni - non può superare la soglia consentita a qualunque governo europeo di spendere una quota di risorse comunicative anche per l'immagine e per basilari condizioni di consenso. Il Parlamento - inteso qui come organo di controllo - dovrebbe occuparsi anche di ciò.

La personale maturazione intervenuta nel leader nei sei anni di "rimonta" si misurerà anche - e vi sono alcuni saggi consiglieri nel Palazzo, a cominciare dal Sottosegretario di Stato Gianni Letta, che questo tema lo conoscono bene - sulla realtà di una comunicazione istituzionale costruita sull'equilibrio tra efficacia e etica ineccepibile. Fra l'altro oggi, rispetto a sei anni fa, si può anche dire che l'era consolidata di Internet aiuti rispetto a quella più dominata dallo strumento della pubblicità.

Il problema nel problema - anche questo è argomento di "attenzione tecnica" per gli addetti ai lavori - è che la sovraesposizione mediatica del Grande Comunicatore (anche se si risolvesse nei previsti cento giorni il "conflitto di interessi") lo penalizza rispetto a quasi tutti gli altri leaders politici. Nella precedente esperienza di governo essa costò prezzi ben superiori ai "peccati". Quegli spot del "fatto!" sono stati "fatti" da tutti i governi. Ma al Comunicatore furono e saranno contestati - pour cause - più che ad altri governi.

Ma tra il 1994 e il 2001 c'è stato anche un lungo tratto di integrazione europea compiuta. Un'Europa che deve "convincere" - i sondaggi che sottolineano una certa criticità di immagine e di fiducia lo dimostrano - ma che deve anche argomentare e dimostrare. Le dichiarazioni più volte fatte ad esempio dal ministro Ruggiero nella preparazione del G8 di Genova (tra le prime "esternazioni" degli esponenti del governo) sono andate in questo senso. Un'Europa che può usare risorse per il dialogo con i cittadini, ma garantendoli nel servizio e nell'utilità di queste prestazioni.

Al governo vi è l'estensore di una legge-architrave della comunicazione istituzionale in Italia (la legge 150/2000), il ministro della Funzione Pubblica Franco Frattini. Nel suo progetto iniziale un articolo, non marginale, era dedicato all'importanza della valutazione, neutrale ed oggettiva, di queste funzioni. Il legislatore colpevolmente lo cassò. Non sarà difficile ripristinarlo. Così come non sarà inutile ripensare a strumenti operativi - anch'essi neutrali in quanto professionali - secondo il modello inglese di agenzie appunto professionalizzate di servizio che rispondano ad un commitment programmato e, naturalmente, secondo i piani di concessione governativa al servizio pubblico radiotelevisivo in scadenza nel 2002.

Si è molto atteso il quadro complessivo dei regolamenti di attuazione della legge 150. C'è ancora da fare, in una logica che naturalmente rispetti di più l'autogoverno delle regioni e degli enti locali sulla materia, pur fornendo strumenti e parametri di garanzia di pari trattamento del cittadino.

Ma avendo al centro della problematica l'utente, forse potrebbe essere riletto tutto il decennio - che comincia con la legge 241 sulla trasparenza e l'accesso del 1990 - con un documento di orientamento e di indirizzo che investa i profili - individuali e collettivi - mutati proprio sul terreno del diritto all'informazione. Per il cittadino un'area di normalizzazione nel rapporto per troppo tempo diffidente con la pubblica amministrazione, che può coincidere con una diversa cultura del servizio e dell'accompagnamento. Per il sociale organizzato e per le imprese con un quadro di regole strutturate di più sulla cultura della sussidiarietà. Senza dimenticare che il sistema produttivo vede qui (velocità e qualità del servizio) un fattore sinergico ineludibile per le proprie aspirazioni organizzative e competitive.

Vi è poi un secondo vasto fronte di questa problematica che si può racchiudere nel contenitore dell'e-government. Il governo ne ha fatto un punto programmatico qualificato. Eredita una situazione piuttosto dinamica, anche se a macchia di leopardo. Vi sono infatti problemi di fasatura tra tecnologie, procedure e comportamenti che hanno oggi un parametro applicativo differenziato amministrazione per amministrazione, territorio per territorio. Che il tema sia complesso si evince dalle stesse prime dichiarazioni del ministro per l'Innovazione tecnologica Lucio Stanca, preoccupato di portare il paese nell'era digitale "con una rivoluzione dal basso". "La Rete unica della P.A. - ha detto - non funziona e la burocrazia italiana sarà online tra cinque anni". Lo stesso neo-presidente dell'Autorità per l'informatica nella P.A. Alberto Zuliani ( che questa Rivista si onora di avere membro del proprio comitato scientifico) parla di "adeguamenti non semplici" perché l'elemento di misura ormai è diventato quello di " produrre effettivo valore, cioè erogare servizi e prestazioni che creino reali opportunità e convenienze per i soggetti finali, cittadini e imprese".

Eccoci al punto. Soggetti finali che, fuori dalla stagione elettorale, hanno ormai bisogno di dati certi e di previsioni di sviluppo non costruite sull'effetto-annuncio ma sulla praticabilità di un'agenda che in tutta Europa non appartiene più unilateralmente ai governi ma al tavolo negoziale del "sistema-paese".



Ultimo aggiornamento: 18/11/05