Tema: Comunicazione pubblica

Le istituzioni comunitarie cercano alleati per comunicare ai cittadini

Bruxelles vara un documento per un ''nuovo quadro di cooperazione'' sull'informazione e la comunicazione istituzionale

di Stefano Rolando

E' chiaro e notorio che con l'espressione "ufficio per le relazioni pubbliche" la legge 150/2000 ha inteso configurare un complesso di funzioni che riguardano sia il front line che l'ambito di progettazione e realizzazione dei servizi di comunicazione. In tal senso il perimetro della materia che va considerata come pertinente a proposito di Urp ha un vasto spazio ed è sensibile ad una molteplicità di variazioni normative a livello locale e regionale, a livello nazionale e a livello comunitario. Cioè nel complesso di un ordinamento istituzionale sempre più interagente che, soprattutto su questa materia, sviluppa azioni parallele verso lo stesso utente. Da qui l'interesse a cogliere , in questo spazio di analisi e commenti, anche le novità che intervengono sulla materia a livello europeo.

Prima della pausa estiva la Commissione europea ha, a proposito di ciò, sfornato un documento di una cinquantina di pagine (metà orientamenti, metà strumenti e risorse) per definire "un nuovo quadro di cooperazione per le attività di informazione e comunicazione dell'Unione". Le parole chiave sono cooperazione - un sistema pluralistico di fonti tra organi comunitari (Commissione, Parlamento, Consiglio, Comitati regionale ed economico-sociale) e Stati membri - e nuovo, per rimuovere alcuni punti critici. Si legge nel testo che le relazioni interistituzionali su questa materia non vano bene; che il dialogo con i cittadini è così debole che si ammette che "non esiste oggi un vero pubblico europeo"; che il presidio tecnico-professionale delle istituzioni sulla materia è "metodologicamente inadeguato" e senza spinte alla valutazione; che sempre sull'argomento il mandato alle rappresentanze UE nei paesi membri va riformulato.

Ambienti comunitari ritengono che il documento sia stato strappato dal Parlamento e scritto solo per sbloccare fondi congelati da Strasburgo, in assenza di un disegno strategico, per grandi campagne di comunicazione. Comunque segnale di un rapporto di controllo virtuoso, che di fatto la Commissione ha utilizzato per rimettere in discussione metodologia, strumentazione e limiti attuali di azioni partecipative. E anche per rimettere in gioco Parlamento e Stati membri, sia pure con rischi di artificiosi gruppi di lavoro interistituzionali che possono creare paralisi se non condotti autorevolmente e su selezionatissimi obiettivi. E infine per rilanciare un ruolo comunicativo del Consiglio europeo sui terreni delicati di politica estera e sicurezza finora oggetto di esternazioni con i caratteri e i limiti della diplomatizzazione.

Ancora poche reazioni al documento. La Commissione apre il dibattito e preannuncia esiti a fine anno. L'Italia (Governo, Parlamento, Regioni), magari grazie ad una conferenza specifica, non dovrebbe far mancare la propria opinione coinvolgendo ambienti professionali competenti (che lo stesso documento auspica associabili con nuovi strumenti di convenzione), non limitandosi a pareri d'ufficio che non aumentano di una virgola la presa sociale di indirizzi di questo genere e non rimobilitano istituzioni e ambiti sociali interni sui temi europei. Ricordando che in materia di fiducia/attese l'Italia vanta ancora un eurobarometro appena positivo ma è penalizzata da dati pessimi circa conoscenza e responsabilizzazione sui processi di integrazione.

Cinquanta pagine fitte di ridisegno di una politica possono valere poco ma anche molto più di una legge, per mobilitare culture e risorse. Il documento comunitario è imperfetto. Soffre di strabismo tra obiettivi generali e risorse disponibili. Presuppone schemi organizzativi a parole "leggeri, decentrati e non burocratici" ma con rischi di comitatologia anestetizzante. Tuttavia introduce visioni nuove sul terreno della cooperazione tra fonti separate e gelose, propone una multilevel governance mai accennata nel passato comunicativo comunitario, si dice attento alle specificità geo-culturali della prossimità. Ipotizza anche strumenti esterni (agenzie professionali) e schiude una porta al potenziale della valutazione. Un lancio di politiche di comunicazione che passi "sotto silenzio" sarebbe in sé una condanna politica delle stesse istituzioni comunitarie.


Ultimo aggiornamento: 22/11/05