Tema: Varie

Privacy e dati generici

di Giuseppe Piperata

Indice


Il paradosso del dato genetico: soggetto tutelato o strumentalizzato?
Anche nel nostro ordinamento mancano scelte di politica del diritto. Diverse le problematicità
Non esiste una identificazione normativa di "dato genetico"
I dati genetici sono il nucleo più sensibile dei dati personali dell'individuo
La diffusione del dato genetico può ledere la vita di relazione dell'individuo
L'informazione genetica può essere condivisa da più individui
Conclusioni
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  Il paradosso del dato genetico: soggetto tutelato o strumentalizzato?

L'entusiasmo che ha accompagnato le recenti scoperte effettuate nel campo della ricerca biomedica ha in parte lasciato il posto ad alcune preoccupazioni, prima fra tutte quella relativa ai rischi connessi alla gestione ed utilizzazione delle informazioni genetiche, ottenibili proprio grazie allo sfruttamento dei risultati di tali scoperte.

Non si è ancora sopito il clamore suscitato dalla conclusione del progetto Genoma, che già da più parti viene palesato uno stato di forte preoccupazione per i pericoli che tale indubbia conquista scientifica può arrecare alla dignità ed agli altri diritti e libertà fondamentali delle persone, in primis il diritto alla privacy.

Al riguardo, si può parlare di "paradosso del dato genetico": da un lato, di tale dato non può che beneficiare il soggetto cui si riferisce, in quanto permette di individuare predisposizioni verso particolari patologie e di prevenirle, molte volte con conseguenze vitali per l'individuo; dall'altro, invece, l'informazione genetica si presta, se nota ad altre persone, ad una strumentalizzazione o utilizzazione a netto discapito del soggetto di riferimento, nel senso che può trasformarsi in un attributo definitivo dell'interessato con conseguenze discriminatorie nella sua vita di relazione.

Non c'è bisogno di grandi sforzi intuitivi per immaginare quali conseguenze potrebbero derivare per un soggetto che risultasse geneticamente predisposto ad una grave malattia, qualora tale informazione venisse diffusa o trattata senza alcuna cautela: chi lo assumerebbe? quale assicurazione accetterebbe di stipulare con lui una polizza sulla vita? ecc.

Già nel 1999, nella sua Relazione annuale, il Garante per la protezione dei dati personali ha avuto modo di sottolineare che i dati genetici aumentano notevolmente le categorie di classificazione degli individui, "adottando concetti come "predizione", "predisposizione", "persona a rischio". Ma queste categorie interpretative, di cui si raccomanda un uso prudente già nell'ambito della medicina predittiva, possono produrre equivoci pericolosi quando vengono trasportate dal campo della genetica clinica a quello delle valutazioni sociali. Si rischia, infatti, di trasformare una condizione ipotetica o potenziale, spesso determinata con metodi statistici, in condizione attuale, con effetti sul trattamento giuridico e sulla considerazione sociale della persona". 


  Anche nel nostro ordinamento mancano scelte di politica del diritto. Diverse le problematicità

La preoccupazione, inoltre, è destinata ad aggravarsi se si pensa che attualmente mancano negli ordinamenti dei paesi più avanzati chiare scelte di politica del diritto fatte dal legislatore con lo scopo di indicare agli operatori che istituzionalmente trattano dati genetici gli indirizzi e i modelli comportamentali da seguire. Il nostro Paese non fa eccezione, anche se recentemente il legislatore delegato è intervenuto al fine di dettare una disciplina minima con riferimento al trattamento dei dati genetici da parte dei soggetti pubblici e in particolare delle strutture sanitarie.

Ma venendo più da vicino al piano giuridico ed al nostro ordinamento, è necessario svolgere alcune considerazioni su quattro profili fondamentali riguardanti i dati genetici e relativi [1] alla loro esatta identificazione normativa, [2] alla loro idoneità a ledere la sfera privata e la dignità degli individui, [3] alla loro idoneità ad incidere negativamente nella vita di relazione degli stessi, e [4] alla loro idoneità ad essere condivisi da più individui.

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  Non esiste una identificazione normativa di "dato genetico"

[1]. Il nostro ordinamento non contiene una nozione normativa di dato genetico. Pur essendo un dato personale appartenete al genus dei dati sensibili di tipo sanitario, l'informazione genetica non viene espressamente presa in considerazione dalla l. 31 dicembre 1996, n. 675. Anche il d.lg. 11 maggio 1999, n. 135, il quale detta alcune regole sul trattamento dei dati genetici da parte dei soggetti pubblici, evita di definirne esattamente le caratteristiche. Tuttavia, come affermato dal Garante per la protezione dei dati personali nel parere del 22 maggio 1999, vale nel nostro ordinamento la definizione di dato genetico data dal Consiglio d'Europa - raccomandazione N.R. (97) 5 - e espressamente richiamata dalla legge delega 31 dicembre 1996, n. 676, la quale ricomprende "tutti i dati, indipendentemente dalla tipologia, che riguardano caratteri ereditari di un individuo o le modalità di trasmissione di tali caratteri nell'ambito di un gruppo di individui legati da vincolo di parentela".


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  I dati genetici sono il nucleo più sensibile dei dati personali dell'individuo

[2]. Si è già detto che il dato genetico è un'informazione sullo stato di salute di un determinato individuo, la quale, se comunicata o diffusa, rischia di esporre l'interessato a significative ingerenze da parte di terzi nella sua sfera individuale più intima. Si è anche detto che il dato genetico, pur essendo una specie del genere dei dati sanitari, non è espressamente disciplinato dalla l. n. 675/1996. Infatti, le poche regole normative riguardanti il trattamento dei dati genetici in una prospettiva di tutela della riservatezza degli interessati sono contenute nell'art. 17, comma 5, d.lg. n. 135/1999, il quale espressamente stabilisce che "il trattamento dei dati genetici è consentito nei soli casi previsti da apposita autorizzazione rilasciata dal Garante, sentito il Ministro della sanità, che acquisisce, a tal fine, il parere del Consiglio superiore di sanità. I trattamenti autorizzati dal Garante possono essere proseguiti fino al rilascio dell'autorizzazione prevista dal presente comma, che in sede di p
rima applicazione della presente disposizione è rilasciata entro dodici mesi dalla data della relativa entrata in vigore".

Il Garante, tuttavia, non ha ancora rilasciato una specifica autorizzazione contenente l'indicazione delle singole ipotesi in cui si ammette il trattamento di informazioni genetiche. Comunque, in attesa di una attuazione dell'art. 17 cit., tale Autorità ha provveduto a dettare una disciplina transitoria in occasione del rilascio dell'Autorizzazione 20 settembre 2000, n. 2, al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Il punto 2) del citato provvedimento, infatti, contiene un'autorizzazione generale a trattare "i dati genetici, limitatamente alle informazioni e alle operazioni indispensabili per tutelare l'incolumità fisica e la salute dell'interessato, di un terzo o della collettività, sulla base del consenso ai sensi degli articoli 22 e 23 della legge n. 675/1996. In mancanza del consenso, se il trattamento è volto a tutelare l'incolumità fisica e la salute di un terzo o della collettività, il trattamento può essere iniziato o proseguito solo previa apposita autorizzazione
del Garante".

Tale autorizzazione, inoltre, vieta espressamente qualsiasi trattamento di dati genetici da parte di alcuni soggetti, in particolare organizzazioni di volontariato o assistenziali, associazioni e organizzazioni religiose, persone fisiche e giuridiche, imprese. Sempre il medesimo punto 2) dispone che "le informative all'interessato previste dall'art. 10 della legge n. 675/1996 devono porre in particolare evidenza il diritto dell'interessato di opporsi, per motivi legittimi, al trattamento dei dati genetici che lo riguardano", mentre, "fino alla data in cui sarà efficace l'apposita autorizzazione per il trattamento dei dati genetici prevista dall'art. 17, comma 5, del decreto n. 135/1999, e successive modificazioni ed integrazioni, i dati genetici trattati per fini di prevenzione, di diagnosi o di terapia nei confronti dell'interessato, ovvero per finalità di ricerca scientifica, possono essere utilizzati unicamente per tali finalità o per consentire all'interessato di prendere una decisione libera e informata,
ovvero per finalità probatorie in sede civile o penale, in conformità alla legge".

Dal combinato disposto delle disposizioni sopra riportate, emerge nettamente l'intenzione di circoscrivere i casi ed i soggetti autorizzati al trattamento dei dati genetici ed un atteggiamento di cautela di certo superiore rispetto a quello con il quale la l. n. 675/1996 disciplina il trattamento dei dati sanitari. In altri termini, il nostro ordinamento pare considerare i dati genetici come il nucleo più sensibile dei dati personali idonei a rivelare lo stato di salute degli interessati, sottoponendoli pertanto ad una disciplina speciale con effetti restrittivi sui possibili operatori e sulle ipotesi di trattamento, stante l'evidente prevalenza delle esigenze di tutela rispetto a quella di utilizzazione di tali informazioni.

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  La diffusione del dato genetico può ledere la vita di relazione dell'individuo

[3]. Nelle prime battute di questo articolo, parlando del "paradosso del dato genetico", si era fatto rinvio alla immaginazione ed alla fantasia al fine di individuare le conseguenze discriminatorie per gli interessati derivanti dalla diffusione dei propri dati genetici, suggerendo come primo approccio le possibili ricadute sul rapporto di lavoro o sul contratto di assicurazione.

La scelta di questi due esempi non è del tutto casuale; e ciò per due ordini di ragioni: innanzitutto, perché è evidente che nessuno assumerebbe una persona sapendolo affetto da una patologia idonea in futuro a limitare la sua capacità lavorativa e che nessuna assicurazione accetterebbe di stipulare una polizza sulla vita (a meno che non si fissi un premio elevatissimo) con un soggetto predisposto verso una malattia incurabile; in secondo luogo, poiché il mercato del lavoro e quello assicurativo rappresentano i settori in cui è assolutamente indispensabile intervenire legislativamente al fine di bilanciare gli interessi economici dell'impresa con il diritto di riservatezza e la dignità delle persone, come dimostrano alcune esperienze straniere.

Negli Stati Uniti, ad esempio, nel 1999 è stato emanato un executive order presidenziale con il quale è stato vietato l'uso dei dati genetici da parte dell'amministrazione pubblica nell'ambito dei suoi rapporti di impiego con i dipendenti federali, proprio al fine di evitare che le decisioni relative al personale siano fondate su valutazioni concernenti la predisposizione genetica dei singoli impiegati. Molto interessante, inoltre, quanto avvenuto recentemente in Gran Bretagna. In tale Stato una commissione governativa istituita ad hoc ha deciso di rendere disponibili alle assicurazioni i dati genetici dei loro clienti, a condizione che il governo sia in grado di tutelare i soggetti portatori di geni dannosi.

Di sicuro la prima parte della decisione è in linea con i principi giuridici che sorreggono i contratti aleatori come quello di assicurazione sulla vita: se la predestinazione ad una patologia mortale è conosciuta esclusivamente dall'assicurato, tale informazione fa venir meno il rischio solo per questo soggetto, con ingiuste conseguenze per l'assicuratore. Non solo: le persone non predestinate geneticamente ad alcuna patologia grave non hanno nessun interesse a stipulare una polizza sulla vita legata al proprio stato di salute.

Viceversa, solleva alcuni dubbi la seconda parte della decisione: quali possono essere le misure anti-discriminatorie adottabili in concreto? l'obbligo normativo per le assicurazioni di stipulare le polizze sulla vita anche con i soggetti predestinati? oppure, la previsione di finanziamenti pubblici erogati dallo Stato per integrare i premi assicurativi che non potranno non essere elevatissimi? o, ancora, la previsione espressa della possibilità del soggetto predestinato di assicurarsi solo contro gli incidenti?

In Italia tali problemi non si sono ancora posti in concreto, ma sono attualmente oggetto di dibattito con riferimento proprio alle vicende straniere appena riportate. Ciò, però, non ci esime in questa sede dallo svolgere alcune considerazioni sulla possibilità dei datori di lavoro o delle compagnie di assicurazione di accedere ai dati genetici dei propri dipendenti o assicurati.

Con riferimento alla prima categoria di soggetti, il bilanciamento tra interesse economico del datore di lavoro ed il diritto alla riservatezza del lavoratore è stato realizzato in più occasioni in sede giurisprudenziale, grazie all'affermazione del principio secondo cui il primo può accedere, attraverso la semplice presa visione ma non estraendo copia, alla documentazione sanitaria del secondo, se ciò è strumentale alla realizzazione di un suo diritto di pari grado. Ultimamente, infatti, il Giudice amministrativo d'appello (vedi, Consiglio di Stato, sez.VI, dec. 30 marzo 2001, n. 1882), in linea con l'orientamento giurisprudenziale consolidato, ha riconosciuto il diritto del datore di lavoro di conoscere i dati sanitari di un suo ex dipendente ? da questi citato in giudizio per il risarcimento del danno biologico derivante da malattia di origine professionale - e detenuti dall'Inail, affermando che "la disciplina dettata in tema di trasparenza amministrativa dalla l. n. 241/90, volta alla "massimizzazione d
ella circolazione informativa", finisce per accordare una prevalenza al principio di pubblicità rispetto a quello di tutela della privacy, consentendo l'accesso anche quando involgente dati riservati, sempre che l'istanza ostensiva sia sorretta dalla necessità di difendere i propri interessi e con il limite modale costituito dalla non percorribilità della via più penetrante e potenzialmente lesiva dell'estrazione di copia".

Pare, tuttavia, che il medesimo principio, già temperato per i dati sanitari dal divieto di estrarre copia, non sia suscettibile di applicazione con riferimento al caso dei dati genetici se non solo in ipotesi eccezionali, previa autorizzazione del Garante ai sensi dell'art. 17, c. 5, d.lg. n. 135/1999, qualora, ad esempio, il datore di lavoro non fosse in grado altrimenti di far valere il suo diritto, e con la previsione di ulteriori divieti e cautele individuate di volta in volta a seconda del contenuto delle informazioni genetiche di cui si tratti.

Anche con riferimento alle compagnie di assicurazioni, questa volta ad opera dell'Autorità garante, si è provveduto a trovare un equilibrio tra contrapposte esigenze con riferimento ai dati idonei a rivelare lo stato di salute dell'interessato. Il Garante, infatti, in più occasioni ha avuto modo di affermare che "possono risultare giustificati i trattamenti di dati relativi alla salute effettuati da società di assicurazione al fine della gestione e dell'esecuzione di polizze infortuni e/o malattie, tra i quali (fermo restando il presupposto della necessità rispetto ai prodotti e ai servizi richiesti dall'interessato) può rientrare anche la raccolta dei dati contenuti nelle cartelle cliniche degli assicurati, acquisiti ed utilizzabili perché appunto necessari per fornire le specifiche prestazioni richieste" (decisione 12 aprile 1999).

Tuttavia, sembra doversi escludere, allo stato attuale, la possibilità da parte delle compagnie assicurative di accedere ai dati genetici dei propri clienti, considerato che - come visto sopra - l'autorizzazione 2/2000 espressamente stabilisce che tali dati non possono essere oggetto di trattamento da parte delle imprese assicurative, divieto che in assenza di una puntuale normativa di tutela dei singoli pare superabile in casi eccezionalissimi previa apposita autorizzazione da parte del Garante.


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  L'informazione genetica può essere condivisa da più individui


[4]. A differenza degli altri dati personali, i dati genetici presentano una peculiare caratteristica: essi, infatti, come evidenziato nella citata raccomandazione del Consiglio d'Europa, "riguardano caratteri ereditari di un individuo o le modalità di trasmissione di tali caratteri nell'ambito di un gruppo di individui legati da vincolo di parentela": in altri termini, la medesima informazione genetica può essere comune a più persone.

Per tale motivo, in alcuni casi si può rendere necessario trovare un adeguato bilanciamento tra contrapposte esigenze facenti capo non più al titolare del dato e ad altri soggetti estranei, bensì a più titolari della medesima informazione genetica. Il riferimento è alla vicenda decisa nel 1999 dal Garante per la protezione dei dati personali (decisione 24 maggio 1999), la quale rappresenta la prima decisione (forse al mondo) relativa al bilanciamento tra esigenze di riservatezza e diritto alla salute con riferimento ai dati genetici.

In breve il fatto: una signora affetta da glaucoma bilaterale, trasmessogli ereditariamente dal padre, si era rivolta ad un ospedale universitario al fine di sottoporsi ad una consulenza genetica con lo scopo di ottenere un giudizio prognostico sul rischio di trasmissione della patologia al nascituro in caso di gravidanza.

Al fine di poter svolgere l'indagine, la struttura universitaria aveva chiesto ad altra struttura ospedaliera le cartelle cliniche del padre della richiedente e dalla struttura detenute, ottenendo da questa un diniego, imputabile al fatto che il padre dell'interessata si era rifiutato di dare il consenso alla comunicazione ed al trattamento dei propri dati genetici. Chiamato in causa dall'interessata, il Garante ha autorizzato il trattamento dei dati genetici indipendentemente dal rifiuto espressamente manifestato dal titolare dei dati stessi.

Infatti, dopo aver ricordato recenti pronunce del giudice ordinario che affermano la prevalenza del diritto alla salute su quello alla privacy, il Garante ha affermato che "un ospedale universitario, in quanto autorizzato in via preventiva al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, può accedere alla cartella clinica di un soggetto, nonostante il rifiuto di questi, quando l'accesso è finalizzato alla tutela della salute di un terzo e limitatamente ai dati sanitari essenziali alla formulazione di una prognosi medica"; questo considerato che "la tutela dell'integrità psico - fisica del terzo integra gli estremi della "giusta causa" che legittima la rivelazione di informazioni coperte da segreto professionale e la lesione della riservatezza dell'interessato".

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 Conclusioni


Nelle pagine precedenti, compatibilmente allo spazio limitato di approfondimento in questa sede consentito, si è cercato di mettere in evidenza la problematicità dei rapporti tra dati genetici e diritto alla riservatezza, riconducibile principalmente alle peculiarità che caratterizzano tali dati.

Volutamente sono state omesse altre questioni connesse alla gestione ed alla utilizzazione di informazioni genetiche sulle quali sono in corso accesi dibattiti non limitati al campo giuridico. Si pensi, solo per fare un esempio, a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, dove l'Università di Boston ha deciso di vendere alle imprese biotecnologiche, sia pur con il consenso della maggior parte degli interessati, i dati contenuti nelle cartelle cliniche di 10.000 individui partecipanti al Farmingham Heart Study - la più famosa ricerca sulle patologie infartuali -, fino ad ora disponibili gratuitamente per i ricercatori di tutto il mondo: può una struttura sanitaria pubblica vendere ad imprese farmaceutiche private i risultati di una ricerca condotta per 50 anni grazie a finanziamenti statali? quali devono essere i livelli minimi di sicurezza che l'acquirente deve assicurare per garantire la privacy degli individui cui i dati si riferiscono?

In conclusione (e tornando al rapporto tra privacy e dati genetici), si può affermare che le peculiari caratteristiche che contraddistinguono i dati genetici molto spesso favoriscono la nascita di contrasti tra il diritto alla riservatezza del titolare del dato e diritti soggettivi di pari rango riconducibili ad altri individui. In base a ciò, appare difficile ipotizzare un intervento legislativo idoneo a determinare e risolvere in astratto i possibili conflitti tra posizioni giuridiche soggettive con riferimento a tali dati: così facendo si rischierebbe di dare soluzioni rigide e precostituite a contrasti interpersonali che richiederebbero invece scelte adeguate al caso concreto.

In tale contesto, sembra valida la scelta operata dal legislatore del 1999 di affidare al Garante il compito di autorizzare i soggetti pubblici a trattare i dati genetici degli individui. Si potrebbe, pertanto, immaginare un nuovo intervento legislativo finalizzato ad estendere tale scelta di politica del diritto a tutti i trattamenti di informazioni genetiche svolti da chiunque e ad indicare altri strumenti di tutela degli interessati al fine di evitare eventuali conseguenze discriminatorie


Ultimo aggiornamento: 17/11/05