Tema: Comunicazione pubblica

Un treno da non perdere

Per il raggiungimento degli obiettivi assegnati il dirigente pubblico deve governare con efficacia il sistema di relazioni interne ed esterne. Il legislatore, con la legge 150/2000 ed il successivo regolamento di attuazione ha offerto tutti gli strumenti. E per questo, nei prossimi 24 mesi, ha previsto un "bagno formativo" per coloro che saranno addetti alle funzioni di ufficio stampa, portavoce e URP

di Toni Muzi Falconi

La Legge 150 sulla comunicazione pubblica, ormai operativa con tanto di regolamento di attuazione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ha suscitato molte discussioni fra gli 'addetti ai lavori" (comunicatori pubblici, giornalisti, operatori di relazioni pubbliche) ma una scarsa attenzione fra i dirigenti dell'amministrazione pubblica.

Eppure, questo tentativo del Parlamento di sensibilizzare sul ruolo ormai irreversibile e decisivo che le attività di comunicazione di una qualsiasi organizzazione hanno sul raggiungimento degli obiettivi perseguiti, avrebbe meritato una maggiore consapevolezza da parte dei dirigenti, se non altro per identificarne e correggerne i difetti in fase di elaborazione e di discussione, prima ancora che diventasse legge dello Stato.

A testimonianza, si può dire che nel mese di Agosto del 2001 - quindici mesi dopo l'approvazione parlamentare della legge, ma soltanto qualche giorno dopo la promulgazione del suo regolamento di attuazione - una consultazione di 300 dirigenti pubblici sul territorio nazionale (ma non comunicatori), ha registrato che la quasi totalità non condivide l'articolo 9 della legge (che obbliga le amministrazioni a servirsi di giornalisti iscritti all'ordine dei giornalisti per gli uffici stampa); che qualcosa più del 50% considera 'bizantina' quella distinzione fra informazione e comunicazione che, in certa misura, ne costituisce la 'base ideologica' e che quasi la metà auspica una coordinamento fra le diverse funzioni addette, assente nel testo.

E' verosimile pensare che se queste perplessità fossero emerse prima, in fase di elaborazione o di approvazione del testo, oggi avremmo una legge migliore.

Questo episodio la dice lunga sulla disattenzione dei dirigenti verso i meccanismi di formazione del processo decisionale pubblico quando la materia non sia di evidente, immediato impatto percepito sul proprio lavoro quotidiano.

Nel caso in questione va comunque detto che è, in realtà, solo una percezione distratta può suggerire che la legge non impatti sulle attività quotidiane del management pubblico.

La realtà sarà invece tuttaffatto diversa!

La stessa indagine citata indica che la grande maggioranza dei dirigenti pubblici condivide l'affermazione che per raggiungere l'obiettivo assegnato il dirigente pubblico debba governare con efficacia il sistema di relazioni con i soggetti che possono contribuire a ritardare o accelerare il raggiungimento di quell'obiettivo

E ancora, la grande maggioranza ritiene anche che le attività di 'ascolto' degli altri - all'interno come all'esterno dell'organizzazione - debbano essere svolte, sì, da ciascun dirigente nell'ambito delle proprie funzioni, ma che spetti proprio all'urp -a quell'ufficio che la maggior parte dei dirigenti pubblici ha visto sorgere con fastidio e cui non attribuisce importanza reale- come afferma la 150, il compito di raccogliere dall'interno (e quindi dai dirigenti pubblici) e dall'esterno (tramite relazioni dirette, ricerche, analisi di customer satisfaction...) tutti i frutti dell'ascolto, interpretarli e suggerire gli adeguamenti più opportuni per migliorare le prestazioni organizzative che facilitino il raggiungimento di quegli obiettivi.

Ma, se non bastasse, procediamo: sempre una maggioranza dei dirigenti pubblici ritiene essenziale che la comunicazione interna e quella esterna siano fra loro integrate così da essere coerenti fra loro. E, proprio la 150 attribuisce agli urp il compito di progettare e realizzare programmi di comunicazione interna all'organizzazione di appartenenza.

Di fatto, la legge attribuisce alle tre funzioni di portavoce, ufficio stampa e, soprattutto, urp un mandato complessivo che, se venisse davvero attuato, avrebbe un fortissimo impatto sul lavoro quotidiano di ogni dirigente dell'amministrazione pubblica di questo Paese.

Se così è, sarebbe bene ora non perdere il treno di una particolare attenzione all'applicazione della legge stessa.

In particolare preoccupa che la preparazione media del personale addetto a quelle funzioni sia inadeguata.

Il legislatore ne è consapevole al punto che ha previsto, per i prossimi 24 mesi, un intenso e obbligatorio 'bagno formativo' per tutti gli addetti (stimati in 40 mila in tutta Italia) alle tre funzioni. Decisione quanto mai opportuna, anche se non prevede sanzioni e neppure stanziamenti di risorse per la realizzazione di questi percorsi formativi, scaricando quindi sulle singole amministrazioni l'onere di scegliere l'offerta formativa più adeguata e quello di mettere a disposizione le necessarie risorse finanziarie.

Non sembri inopportuno, visto l'interesse diretto dell'autore, una esortazione a investire in questi programmi formativi, ma anche il richiamo ad un esercizio vigile di questo nuovo obbligo: le offerte formative sono molteplici, parecchie delle quali provenienti proprio da soggetti che hanno contribuito non poco negli ultimi decenni a mantenere elevati i divari di qualità della formazione nel settore pubblico dalla qualità della formazione nel settore privato.

Sarebbe davvero ripercorrere errori del passato servirsi di quei soggetti e non cogliere l'opportunità offerta dallo stesso regolamento di attuazione che consente anche a soggetti associativi privati, purché in possesso di tutti i requisiti richiesti dallo stesso regolamento, di contribuire a trasferire una autentica cultura della relazione e della comunicazione all'interno delle parti migliori dell'amministrazione pubblica.

 
* Articolo comparso anche in: Amministrazione Civile, Nov. - Dic. 2001, Maggioli editore



Ultimo aggiornamento: 22/11/05