Tema: Comunicazione pubblica

Unione europea e trasparenza

Il tema della manipolazione della comunicazione degli Stati, in particolare in condizioni di conflitto, apre uno spazio di dibattito e di opportunità ad un soggetto che non è ''uno Stato''

di Stefano Rolando

Cresce negli ultimi tempi la percezione di una grave tendenza che è, del resto, vecchia come il mondo. Nel senso che è parte reale della storia dei poteri.

Si tratta dell'uso manipolatorio della verità da parte di chi ha alte responsabilità di governo, fino ad infrangere la soglia di fiducia e di credibilità che - nelle condizioni di vita di una democrazia, perché in assenza di democrazia la trasparenza è cancellata per definizione - può trasformarsi in boomerang e ritorcersi contro chi guida le istituzioni.

Dal caso Aznar alla moltiplicazione dei fatti di distorsione informativa in Iraq (che riguardano essenzialmente - per ora - il governo americano) fino alla Cecenia, croce della Russia post-comunista, queste vicende hanno fatto ricordare una vecchia massima: in caso di guerra la prima vittima è la verità. E hanno fatto emergere - parlando tutti di "potenze" e di "logica di potenza" - un'altra cosa già nota, in questo caso sottolineata da un soggetto interessante per il proprio specifico ruolo, la Croce Rossa Internazionale: attenzione, tra le potenze, ormai, ce ne è una di pari forza rispetto a chi ha eserciti e armi, l'opinione pubblica.

La comunicazione istituzionale degli Stati sta ricevendo dalla cronaca di questi ultimi tempi connotazioni spiacevoli che mettono in ombra le pur sue buone cose. Si aprirà a breve - dopo le elezioni del Parlamento europeo - un nuovo capitolo della nuova Europa allargata. Come si sa, essa è un patto tra Stati, non uno Stato. Questo limite ne fa un soggetto politico con qualche valenza in meno rispetto ai vecchi Stati-Nazione che la compongono (uno dei punti di dibattito in seno alla "Convenzione europea").

Ma è proprio questa condizione che potrebbe permettere di misurarsi con una linea di comunicazione (interpretazione dei grandi eventi e delle principali dinamiche della politica internazionale) meno dipendente dalla "ragion di Stato". E quindi meno a rischio di finire sull'uso della menzogna come condizione nota di ogni "realpolitik".

Una ipotesi di lavoro per l'elaborazione che le istituzioni comunitarie dovrebbero aggiornare in materia di comunicazione istituzionale riguarda proprio la possibilità di utilizzare la propria "debolezza" come Stato per sostenere la propria "forza" come soggetto di trasparenza.

Tra i fattori di debolezza si ritiene che vi sia quello del carattere di una leadership allargata che oggi non consente a nessuno nella UE di comandare senza mediazioni. Tra gli stessi fattori vi è chi ritiene che vi sia quello che l'Europa non è un soggetto direttamente implicabile in conflitti armati. Sempre tra i fattori di debolezza vi è quello - e questo non è opinabile - di rappresentare l'Europa un sistema di equilibri di poteri in cui conta più la demografia e l'economia che l'interesse politico di un gruppo rispetto ad un altro.

Quante volte questi argomenti sono stati invocati con preoccupazione circa il fattore direttamente competitivo dell'Unione Europea rispetto all'America (e va ricordato anche rispetto al Russia e alla Cina). Ebbene sono questi i caratteri che neutralizzano in partenza una buona parte delle ragioni della manipolazione e della distorsione della verità nelle funzioni della comunicazione politica e istituzionale.

Puntare su questa linea vorrebbe dire schierare nel mondo un grande soggetto civilmente credibile capace di incrementare il quadro dei "guardiani della democrazia". Vorrebbe dire dare, in questo senso, garanzia da parte di una vecchia cultura liberaldemocratica europea - che certo non è tutta l'Europa - che si può dare rassicurazioni ai cittadini su un principio cardine dell'architettura istituzionale.

Ciò - naturalmente - ha una condizione. E che cioè questa stessa Europa sappia marginalizzare un'altra sua debolezza, che è ormai un vizio, che le proviene dal non essere Stato: compiere frequenti peccati di omissione.

Guardare dall'altra parte, fingere di non vedere, è la pseudo-arte di chi se guarda deve poi esprimersi. Ma se, per caso, non può parlare, meglio allora programmare il silenzio. Non è questa evidentemente la condizione di un'attitudine trasparente, rispetto a cui un patto nella nuova classe dirigente - quella che sarà selezionata dai cittadini che eleggeranno il Parlamento europeo e quella che gli Stati designeranno ai vertici della Commissione - diventerà essenziale.


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Ultimo aggiornamento: 28/09/05