Focus

Il Cambiamento negli uffici giudiziari italiani e l'esperienza del progetto “Diffusione delle Best Practices negli uffici giudiziari italiani” (DBP)

24 settembre 2014 - Miglioramento Performance Giustizia (MPG) ha chiesto al Prof. Federico Butera - noto studioso e ricercatore di organizzazioni complesse che ha realizzato numerosi interventi di innovazione sia in ambito pubblico che privato - di approfondire il tema del cambiamento negli uffici giudiziari.

L’autore spazia su argomenti diversi e tocca tematiche chiavi ed importanti del dibattito sull’innovazione organizzativa e gestionale degli uffici giudiziari italiani.

Le specificità delle organizzazioni giudiziarie; i fattori critici di successo che gli uffici giudiziari devono presidiare; le modalità per innescare e gestire il cambiamento al proprio interno.

Sulla natura degli uffici giudiziari occorre per prima cosa liberarsi dall’idea che essi siano organizzazioni “imperfette o primitive” dal punto di vista organizzativo. Gli Uffici Giudiziari sono quelli che le scienze organizzative definiscono expert dependent organizations, ossia complesse organizzazioni disegnate per contenere e supportare l’attività di esperti e professionisti, la cui attività costituisce il processo primario. Expert dependent organizations sono ad esempio gli ospedali, le scuole, le università, i giornali, le imprese cinematografiche o televisive, gli studi di architetture e ingegneria, gli studi legali e naturalmente gli Uffici Giudiziari.
 I professionisti per lo più considerano un fastidio necessario gli adempimenti connessi alla "burocrazia" che circonda il loro lavoro e se vengono chiamati a svolgerli essi stessi li considerano spesso una corvè. L'attività professionale di conseguenza ha lasciato in ombra altri processi fondamentali come la pianificazione strategica, il coordinamento e controllo, la programmazione, il controllo dei flussi, la valutazione di risultati, la gestione delle risorse, la gestione delle persone, la gestione delle tecnologie informative e altre dimensioni chiave del moderno management. Questo è avvenuto in misura ancora più marcata negli Uffici Giudiziari per molti motivi. Innanzitutto il professionista degli Uffici Giudiziari è anche e soprattutto titolare di un potere istituzionale e gran parte delle regole procedurali sono definite per legge con lo scopo di assicurare imparzialità e protezione dei diritti legittimi delle Stato e delle parti ( ad es. codici di procedura penale e civile). Inoltre la “macchina” burocratica molto complessa e gli addetti amministrativi dipendono dal Ministero della Giustizia mentre i magistrati sono soggetti ad un massimo organo di autogoverno rappresentato dal CSM. Infine l’organizzazione dell’Ufficio Giudiziario è in un certo senso un “oggetto misterioso”, poco conosciuto: tale organizzazione, come in altre expert dependent organizations, non è data da “una sola” organizzazione ma da un “pacco di diversi strati coesistenti di organizzazioni”, debolmente connessi fra loro.

Tali “strati organizzativi” coesistenti sono costituiti da (Butera, 2009 ¹ ):

  • l’organizzazione istituzionale, data dalle leggi;
  • l’organizzazione formale, che definisce strutture, autorità responsabilità, procedure formalizzate;
  • l’organizzazione tecnica, ossia quella che è definita dai sistemi informativi;
  • l’organizzazione professionale, ossia l’organizzazione data dalle norme e dalle culture delle professioni magistratuali e amministrative;
  • l’organizzazione di fatto, data dalle prassi di lavoro;
  • l’organizzazione percepita, ossia il modo con cui i diversi gruppi che partecipano all’organizzazione la vedono e la vivono in base alle loro culture e valori;
  • l’organizzazione informale, in cui irrompono i processi sociodinamici, gli interessi, le correnti, i clan, i comportamenti personali.

[1] Federico Butera Il cambiamento organizzativo: analisi e progettazione di reti organizzative, Laterza 2009


L’”oggetto misterioso” è quindi dato da una ’”organizzazione reale” costituita dall’insieme di tutti questi diversi sistemi di regolazione: se ben integrati essi danno all’organizzazione il carattere di un organismo vitale, agile, efficace; se non integrati divengono un’arena di conflitti, incoerenze, inefficienze. L’organizzazione reale infine in ogni caso non può essere progettata a tavolino e governata con le sole norme e la sola gerarchia; essa è condotta ad unità, efficacia, efficienza e trasparenza in base a quattro vettori: cooperazione autoregolata, comunicazione estesa, scambio di conoscenze, senso di comunità animata da tensione al risultato.
Questo spiega perché, a parità di sistema normativo, alcuni uffici funzionano bene e altri male; perché alcuni uffici sono sprofondati nel fatalismo del “non si può cambiare se non arriva la riforma, se non vengono stanziate più risorse etc.” e altri invece colgono il margine di manovra concesso dall’organizzazione reale e innovano come la Procura della Repubblica di Bolzano o il Tribunale di Torino, casi assai noti. Da un punto di vista organizzativo in realtà è avvenuto che i capi di quegli uffici virtuosi hanno saputo riconoscere, gestire e innovare l’organizzazione reale, utilizzando i margini di manovra a loro disposizione.

Il cambiamento organizzativo e la dirigenza negli uffici giudiziari

La prima domanda da porsi è: cosa sono i ruoli direttivi? Gli incarichi direttivi negli Uffici Giudiziari non sono un premio ma sono sia una componente chiave dell’organizzazione giudiziaria (un ruolo organizzativo) sia una professione specifica (professione direttiva, management giudiziario) che viene svolta da un magistrato che continua in parte a svolgere la sua professione giudiziaria. Competenze e modi di operare della professione direttiva e della professione giudiziaria sono diversi e in entrambi i casi di alto livello. Il magistrato che assume incarichi direttivi aggiunge alla sua professione, in base alla quale ha vinto il concorso di magistratura, un’altra diversa e più simile a quella del “management” di enti pubblici e privati. La selezione, valutazione, formazione degli incarichi direttivi e in massimo grado dei capi degli uffici giudiziari non dovrebbe essere affidata a criteri di pura anzianità ma a criteri di esperienza e potenzialità per svolgere ruoli direttivi ed esercitare la professione di dirigente.
La seconda domanda da porsi per giungere alla comprensione e miglioramento della natura del ruolo direttivo è: quale dirigenza per quale organizzazione? Una dirigenza per sorvegliare l’adempimento delle norme e per gestire un’organizzazione che non cambia a cui assicurare stabilità e regolarità, oppure una dirigenza per animare e dirigere il cambiamento dell'organizzazione, assicurando al tempo stesso tutti gli adempimenti richiesti dalle norme e dalle direttive del CSM e del Ministero della Giustizia? In questa seconda prospettiva il dirigente è un organo primario della “organizzazione reale” degli Uffici Giudiziari; il dirigente in quella organizzazione reale opera in qualità leader, decisore, responsabile dei processi di coordinamento e controllo, rappresentante e molto altro. Al dirigente è richiesto in questa prospettiva di essere un manager dei servizi che insieme agli altri membri dell’organizzazione, ha come compito primario quello di suscitare, orientare, stimolare, monitorare il cambiamento dell’organizzazione come “organismo integrato che persegue fini e li controlla”.
Riorganizzare una “organizzazione reale” in un tribunale vuol dire concretamente ridisegnare i processi, i ruoli e l’organizzazione del lavoro, usare appropriatamente le tecnologie, formare giuristi e personale amministrativo a comprendere e gestire le dimensioni organizzative, generare motivazione e impegno anche in assenza di ricompense materiali. E’ quindi la capacità di comprendere il “margine di manovra” nella gestione e nel cambiamento dell’organizzazione dell’Ufficio Giudiziario il punto focale della responsabilità del Capo dell’Ufficio.

Il metodo del “change management strutturale” e la sua applicazione nei cantieri d’innovazione degli uffici giudiziari: trasferibilità

Il change management strutturale adottato nel progetto DBP, che è stato realizzato in partenariato fra Unione Europea, Ministero della Giustizia, Presidenza del Consiglio – Dipartimento della Funzione Pubblica, Regioni e Province autonome, si inserisce nel modello di “approccio processuale nazionale” basato su progetti concepiti centralmente e realizzati localmente che ha per oggetto progetti nazionali. Esso ha celebri precedenti in USA e in UK (Reinventig Governement e Next Step). Una versione italiana l’avevamo descritta e proposta nel progetto “Acropolis” (di Butera e Dente, 2009  ²) preparato per il DFP.
La metodologia della “Gestione del Cambiamento Strutturale” (Butera, 2009  ³) ha per oggetto l’attivazione e la gestione del cambiamento organizzativo, professionale e culturale di una singola grande amministrazione o una grande azienda.  Essa prevede la realizzazione di progetti dotati di precisi obiettivi quantitativi e qualitativi ottenuti attraverso una spirale virtuosa e interattiva fra: a) un piano strategico e strutturale caratterizzato da obiettivi non marginali di miglioramento; b) progetti pilota in cui il cambiamento e le best practices vengono realizzate con la partecipazione delle persone; c) il cambiamento e apprendimento continuo e la diffusione governata. In tal modo vengono cambiati in modo integrato processi, organizzazione, tecnologie, persone. I risultati concreti vengono ottenuti non alla fine del progetto ma continuamente (quick wins) e ciò crea le condizioni per l’apprezzamento e diffusione delle best practices già realizzate.

[2] Progetto Acropolis per il Dipartimento della Funzione Pubblica, un piano nazionale di riorganizzazione delle Pubbliche Amministrazioni (Irso e Politecnico di Milano), 2008 pubblicato in Federico Butera e  Bruno Dente eds) Change Management nelle Pubbliche Amministrazioni: una proposta, , Franco Angeli, Milano, 2009.

[3] Butera F.   Il cambiamento organizzativo, cit


Il progetto “Diffusione delle Best Practices negli uffici giudiziari italiani” (DBP): punti forti, aspetti da migliorare e valore aggiunto nel miglioramento organizzativo e gestionale degli uffici giudiziari


Come è noto, nel 2008 sulla base dei positivi risultati raggiunti nello sviluppo organizzativo della Procura di Bolzano, il Ministro della Pubblica Amministrazione, il Ministro della Giustizia e le Regioni/Province autonome, hanno concordato con l’Unione Europea un progetto interregionale trasnazionale denominato “Diffusione delle Best Practices negli Uffici Giudiziari Italiani” finanziato dal Fondo Sociale Europeo. Al Progetto hanno aderito 2 Province autonome e 21 Regioni, 191 Uffici Giudiziari e, ad oggi, sono  stati attivati oltre 1400 progetti esecutivi. Esso va considerato oggi in Italia il più grande cantiere di riorganizzazione di una grande Amministrazione dello Stato.
Questi progetti sono stati banditi allo scopo di attivare la guida e l’attiva partecipazione dei Magistrati e del personale di cancelleria con il supporto abilitante di società di consulenza. Il ruolo della dirigenza apicale e intermedia è stato il fattore determinante dei successi e degli insuccessi dei singoli progetti e costituisce un esperimento che consente non solo di studiare ruoli e professioni dirigenziali, ma anche di registrare la costituzione di un corpo di dirigenti innovatori, sia tra i Magistrati che fra il personale amministrativo.
Questa programma non solo ha diffuso best practices e sviluppato cultura organizzativa e management, ma ha fatto condividere al mondo giudiziario la consapevolezza che l’organizzazione non riguarda solo il funzionamento degli uffici amministrativi e delle cancellerie ma l’intero processo di lavoro e il sistema organizzativo complessivo di ogni singolo Tribunale, Procura e altro ufficio giudiziario. Ha dimostrato che è possibile cambiare e migliorare la funzionalità della “organizzazione reale” degli uffici anche a sistema normativo e a risorse date. Il programma ha provato che la complessità delle dimensioni organizzative degli Uffici Giudiziari è risolvibile all’interno di progetti virtuosi, adottando appropriate soluzioni tecnologico-organizzative e percorsi di change management e attraverso la costituzione di “comunità di innovatori” fra Magistrati e cancellieri che si scambiano esperienze, discutono e coltivano la formazione dei più giovani.
Nel corso del programma è apparso evidente come la più complessa delle expert dependent organization (l’Ufficio Giudiziario) non può essere cambiata solo attraverso le norme (che inoltre non arrivano in tempo o sono contraddittorie) né solo attraverso le tecnologie (che se non contestualizzate e accompagnate rischiano di essere mal utilizzate): ma – in aggiunta a riforme strutturali- attraverso lo sviluppo integrato di processi, organizzazione, ruoli, tecnologie, culture (l’ufficio giudiziario come service oriented organization) e collocando l’Ufficio Giudiziario come nodo di una rete di istituzioni che concorrono al bene comune e ai servizi dei cittadini (l’ufficio giudiziario da castello a rete).
Alcuni progetti avviati hanno conseguito risultati importanti nella riduzione dei tempi della giustizia, nell’efficienza interna, nell’apertura all’esterno, nella trasparenza. La maggior parte non hanno ancora prodotto i risultati attesi. Molti non li raggiungeranno mai. Per maggiori approfondimenti si rimanda alle documentazioni di monitoraggio condotto dal Dipartimento della Funzione Pubblica, nell’ambito del progetto “Miglioramento Performance Giustizia" .
Quanto è avvenuto è già un contesto su cui sviluppare concretamente azioni specifiche fra cui: la selezione, la valutazione, la formazione dei dirigenti apicali e intermedi. In 191 UUGG e 1400 progetti operativi si è lavorato -bene o male- sull’organizzazione reale e i successi e gli insuccessi possono ora insegnare molto di più che le teorie, le conferenze, le metodologie dei professori universitari e dei consulenti, chiamati a “insegnare” l’organizzazione ai magistrati e ai cancellieri.
Non voglio essere tacciato di eccessivo ottimismo sul progetto Best Practices che ha avuto tante ombre. Per essere realistico e per favorire una desiderabile diffusione di programmi come questo in una nuova fase di investimenti europei sulla Giustizia e anche in altri settori dell’amministrazione, mi sento di indicare i punti critici che si sono manifestati durante il programma, che possono essere utili per chi volesse avviare programmi futuri nell’ambito degli Uffici Giudiziari e in altri settori della Pubblica Amministrazione:

  • Committenza da parte dei singoli Uffici Giudiziari. Il programma prevedeva sei “linee di servizio” da offrire agli Uffici Giudiziari di cui le prime due (“Analisi e riorganizzazione degli uffici giudiziari al fine di migliorare l'efficienza operativa e l'efficacia delle prestazioni rivolte agli utenti interni ed esterni”; “Analisi dell'utilizzo delle tecnologie, adozione ed utilizzazione delle stesse per il miglioramento organizzativo”) hanno rappresentato la stragrande maggioranza degli interventi: esse in realtà implicavano progetti di change management che per essere tali richiedono sempre come punto di partenza una forte committenza, attraverso la fissazione di obbiettivi specifici da parte dei Capi Ufficio e dei loro Comitati Guida e la continua misura dei risultati fissati dalla dirigenza dei singoli uffici. Questo è avvenuto solo in alcuni casi mentre in molti casi gli assegnatari delle gare si sono limitati all’adesione formale, alle prescrizioni formali di gara. 
  • Coordinamento centrale. Il programma è stato lanciato da un accordo fra il Ministero della Giustizia, il Ministero della Pubblica Amministrazione, le Regioni e il FSE: ma è poi mancata una sufficiente collaborazione costante nel coordinare e promuovere centralmente il programma.
  • Competenza e imparzialità delle stazioni appaltanti. La soluzione di far agire le Regioni da “stazioni appaltanti” per la assegnazione di fondi senza una presenza determinante nelle commissioni giudicatrici dell’utente finale (le strutture giudiziarie) è stata critica perché hanno prevalso spesso logiche burocratiche sia nella definizione che nella valutazione dei bandi.
  • Creazione di un mercato adeguato. Si è creato “un mercato” per le società di consulenza, in cui purtroppo insieme a casi di ottima consulenza abilitante dei Magistrati e cancellieri, si sono registrati spesso servizi mediocri di pura compliance ai dettati dei bandi, sospetti di cartelli (quattro grandi società di consulenza si sono aggiudicate oltre il 62% delle gare), assegnazioni finite all’attenzione delle Procure, molti episodi deludenti. In una parola si è creato un “mercato” dei servizi consulenziali all’organizzazione giudiziaria in cui spesso la “moneta cattiva ha cacciato quella buona”.
  • Comunità scientifica. E’ mancata una forte presenza rilevante di una comunità scientifica e professionale che orientasse il programma, che gli assegnasse quel rilievo culturale ed etico che aveva nelle intenzioni dei promotori, che ne diffondesse gli apprendimenti e che impegnasse le strutture di ricerca delle Università sui cruciali problemi organizzativi affrontati e sui processi di cambiamento. Le pubblicazioni scientifiche sul programma sono ancora pochissime.
  • Comunicazione. La comunicazione sul programma è stata insufficiente.
  • Formazione. Le ricadute in termini di programmi formativi per l’attuale e futuro personale giudiziario sono state al momento molto modeste: il grande “libro di testo” delle best practices resta ancora non aperto.

Era in sintesi possibile e necessario rendere più robusto questo importante programma con un forte coordinamento centrale, l’attivazione di una agenzia e di un network di alto livello scientifico-professionale, la definizione per ogni Ufficio Giudiziario di una committenza impegnata a fissare obbiettivi precisi e misura dei risultati , la creazione visibile e l’animazione di comunità di innovatori, la formazione a tutti i livelli, la comunicazione estesa.
Tuttavia va apprezzato che si sia messo in moto un fascio di energie e progetti virtuosi senza precedenti, che ci aspettiamo genererà risultati rilevanti e verrà impiegata per affrontare temi chiave, come quello della dirigenza degli Uffici Giudiziari.
 

Le direttrici del cambiamento che stanno interessando nel corso di questi ultimi anni gli uffici giudiziari italiani.

E’ in corso un programma di riforma che apprezzo, ma non sta a me valutarlo.Segnalo tuttavia a chi sta progettando e dovrà realizzare la riforma alcuni punti che reputo importanti:

  • la specializzazione delle strutture giudiziarie in materia di impresa, famiglia, lavoro e altro se verrà confermata, va attuata sì con una convinta partecipazione di tutte le componenti del processo giudiziario ma anche con tempi, obbiettivi, metodologie precise di percorsi progettuali e non negoziali (nuove strutture by design);
  • il monitoraggio degli effetti economici della riforma a livello nazionale e territoriale è importante che configuri l’intervento sulla giustizia come azione di politica economica e sociale e motivo di apprezzamento internazionale  (recuperare 2 punti di PIL);
  • lo sviluppo, valorizzazione e comunicazione  di progetti di innovazione e miglioramento, di comunicazione di best practices già realizzati o in corso rappresentate come realizzazioni di uffici giudiziari dotati di una “organizzazione reale”  che sviluppa nuovi paradigmi (UUGG dall’”orologio all’organismo”);
  • la reale applicazione delle tecnologie ICT (processo civile telematico, consolle, informatizzazione del penale, portali per gli utenti etc) come esercizi “socio- tecnici” centrati cioè a “fare avvenire davvero l’innovazione” governando le dimensioni organizzative e professionali associate, con la partecipazione degli utenti finali (UGGG come luogo di integrazione tra tecnologie e persone per ottenere risultati);
  • l’attivazione di progetti interistituzionali sul territorio in campo civile (UUGG “ dal castello alla rete”);
  • la formazione organizzativa dei capi degli uffici, magistrati, personale amministrativo fatta attraverso progetti operativi (action learning);
  • la comunicazione degli obbiettivi e dei risultati attraverso la letteratura scientifica, i media, l’insegnamento nelle scuole e nelle università (narrare la riforma);
  • e soprattutto il rilancio di un progetto di partenariato europeo 2014-2020 sulla Giustizia , progettato centralmente da diversi soggetti istituzionali a livello nazionale oltre che regionale (che parta da obbiettivi quantificati di cambiamento e  li misuri, che accentri e renda trasparenti i meccanismi di gara, che  si avvalga e attivi una comunità scientifica e professionale di livello), attuato localmente con progetti di cambiamento nei singoli uffici guidati da una committenza forte della dirigenza e sostenuti da uffici innovazione, con la massima responsabilità e partecipazione del personale delle strutture coinvolte, supportati da servizi tecnologici, consulenziali, formativi di alta qualità coordinati e monitorati possibilmente da una unità di missione centrale interministeriale di alto profilo scientifico e tecnico. Tale programma dovrà essere progettato e monitorato per conseguire risultati non marginali di miglioramento dei servizi di giustizia, dei tempi della giustizia, di riduzione di costi non necessari, di supporto al lavoro dei magistrati, in grado di aumentare la capacità amministrativa del sistema, soprattutto dovrà conseguire risultati tangibili di sviluppo economico, sociale e territoriale. (Diffusione delle Best Practices della Giustizia 2.0. come un grande progetto di Reinventing Governement)

 


Biografema dell’autore

Federico Butera era stato nominato professore ordinario di Sociologia dell’Organizzazione  nel 1988 e ha insegnato da allora prima all’università di Roma La Sapienza e poi all’università di Milano Bicocca fino al 2012. È presidente della fondazione IRSO (Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi), che ha fondato e presieduto fin dal 1974.Come progettista di organizzazioni complesse ha “firmato” noti progetti di cambiamento che hanno introdotto nuovi modelli organizzativi, fra cui le isole di produzione alla Olivetti, la riorganizzazione degli Uffici delle Entrate, il ridisegno del sistema organizzativo della Pubblica Istruzione, la progettazione dei Call Center della Omnitel-Vodafone, lo sviluppo organizzativo dell’INPS e molti altri.Recentemente ha coordinato, insieme ai colleghi del Politecnico di Milano e dell’IRSO, il progetto Innova Giustizia degli Uffici Giudiziari della Lombardia assegnato a una RTI composta da Fondazione Politecnico, Fondazione Irso, Fondazione Alma Laurea, Bocconi e da alcune società di consulenza e in particolare ha accompagnato la riorganizzazione del Tribunale e della Procura di Monza che ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali.Componente dell’ ”Osservatorio per la valutazione degli effetti sull’economia delle riforme della Giustizia” costituito dal Ministro della Giustizia. Collabora con la Scuola Superiore di Magistratura nella progettazione e erogazione dei nuovi corsi per capi degli Uffici Giudiziari. E’ autore di 33 monografie e oltre 140 articoli per riviste, pubblicati in Italia e all’estero.


Per saperne di più

Lista essenziale delle pubblicazioni e dei principali cantieri

Tra le pubblicazioni più recenti relative al settore giustizia

Butera F. (2013), Tribunali capaci di cambiare, Harvard Business Review Italia, Novembre.

Butera F. (2013), Incarichi direttivi e cambiamento dell’organizzazione negli Uffici Giudiziari, Questione Giustizia, Fascicolo 2-3, Franco Angeli.


Butera F. (2010), L’organizzazione degli Uffici Giudiziari e la gestione del cambiamento, Arel 2-2010.

 

 

 

Ultimo aggiornamento:  28/06/2013

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