Intervista a Elke Loeffler, direttore di Governance International
Elke Loeffler è direttore di Governance International un’organizzione non profit del Regno Unito impegnata sui temi della partecipazione e della gestione dei servizi pubblici. In questa intervista ci presenta una riflessione sul ruolo della società civile e del terzo settore nel contesto inglese e nell’ambito delle difficili sfide, lanciate dal governo in tempo di crisi economica, per la gestione dei servizi pubblici (gennaio 2011)
Il tema della riduzione dei costi è, attualmente, di centrale importanza anche nel Regno Unito. In questo ambito il governo ha avviato una serie di iniziative che prevedono il coinvolgimento dei cittadini nell’erogazione dei servizi pubblici, in modo che gli utenti siano più coinvolti e responsabili, e il governo possa ridurre le proprie spese. Potrebbe darci quale ulteriore dettaglio su questa strategia? Ci sono già delle applicazioni concrete a livello locale e centrale?
R. Il 2011 porterà, irrimediabilmente, nel Regno Unito tagli enormi per la maggior parte dei servizi pubblici. Le amministrazioni locali ed le altre agenzie pubbliche si stanno già preparando ad affrontare tagli compresi tra il 20 e 40%. Anche i pochi settori risparmiati, come la sanità, si troveranno ad affrontare decisioni difficili, dal momento che la domanda aumenterà. E’ovvio alla maggior parte dei manager e degli amministratori pubblici che le solite strategie di efficienza non saranno sufficienti. Di conseguenza, si stanno considerando due nuove opzioni: la prima prevede l’esternalizzazione dei servizi pubblici al terzo settore, con l’obiettivo di fornire gli stessi servizi ad un prezzo più ridotto, ma anche con una maggiore qualità, perché le organizzazioni di volontariato sono più vicine ai gruppi di cittadini interessati. L'altra strategia riguarda invece l’attribuzione di un ruolo più attivo e centrale ai cittadini, non più come semplici destinatari passivi di servizi pubblici. Ci si riferisce, in tal senso, allo sviluppo di un sistema di "auto-aiuto", i cui esempi possono essere molteplici: persone con handicap che forniscono servizi ad altre persone svantaggiate attraverso un sistema di scambio, una sorta di banca del tempo; giovani detenuti che spiegano agli studenti nelle scuole i pericoli della guida in stato di ebbrezza o, ancora, pazienti con malattie croniche che danno consigli ad altri malati su come convivere nel modo migliore con la malattia.
D. Come si collega tale strategia governativa all'idea della 'Big Society', che è di grande attualità nell’agenda politica del Regno Unito?
R. Al momento, siamo tutti estremamente insicuri del significato che la Big Society ha per il governo. Secondo l'approccio del Dipartimento per le comunità e per i governi locali, la "Big Society" deve essere supportata da un doppio decentramento - agli enti locali e alla cittadinanza locale - nonchè da una maggiore trasparenza e da un sostegno finanziario per il terzo settore. Emerge però una contraddizione latente e sono in molti a chiedersi come i tagli previsti anche per il settore del volontariato possano essere conciliati con questa visione della Big Society che ne accentua e ne rafforza il ruolo.
D. Il concetto di 'Big Society' sembra riferirsi principalmente ad un cambiamento culturale nella società civile – così come si evince dalle parole del Primo Ministro Cameron: "La Big Society riguarda un enorme cambiamento culturale, per cui le persone, nella loro vita quotidiana, nelle loro case, nei loro quartieri, nei loro ambienti di lavoro non sempre si rivolgono ai funzionari pubblici, alle autorità locali o al governo centrale per avere delle risposte ai loro problemi ma, piuttosto, si sentono liberi e in grado di aiutare loro stessi e le loro comunità". Quali sono, secondo lei, le implicazioni potenziali di questo cambiamento? Quali le opportunità e i rischi connessi?
R. Credo che questo cambiamento auspicato sia in parte già avvenuto: in particolare, molti gruppi svantaggiati hanno perso la fiducia negli enti pubblici e non richiedono neppure il supporto di cui hanno diritto. Chiaramente in tale contesto, la maggior parte di queste persone non si sente libera, né tanto meno capace di dare un contributo ma, piuttosto, sente la mancanza di fiducia in sé e negli altri. Quindi cosa fare? Personalmente, non credo che 'l’empowerment' sia il rimedio. Ciò che è necessario è aumentare la fiducia in se stessi, in modo che le persone svantaggiate possano incrementare le loro aspettative - non in termini di benefici da parte del governo, ma in termini di una visione diversa per una migliore qualità della vita. Se 'Big Society' significa, per il governo, avere un ruolo diverso per sviluppare modelli di sostegno tra pari, allora posso dirmi favorevole. Ma se i fondi necessari per investire nello sviluppo della comunità vengono a mancare allora non ci sarà alcun ritorno.
D. Questo nuovo scenario sembra richiamare ad una nuova "cittadinanza attiva". Quali sono le dimensioni che potrebbero sostenere questo cambiamento culturale e questa transizione sociale? Il terzo settore potrebbe avere un ruolo importante per migliorare la collaborazione fruttuosa tra il governo e i cittadini?
R. E’ chiaro che il settore pubblico debba cambiare profondamente il suo ruolo, e non essere più un semplice fornitore di servizi pubblici. Piuttosto, deve diventare un 'facilitatore' dei cittadini, aiutandoli a risolvere i problemi. Questo cambiamento culturale deve essere supportato da nuovi approcci formativi, sviluppati insieme con gruppi di cittadini/utenti, ma anche da una re-ingegnerizzazione dei processi, a partire dal punto di vista dei cittadini e da nuovi sistemi di gestione del rischio. Inoltre, il terzo settore deve giocare un ruolo più importante nell’erogazione dei servizi pubblici. Nel Regno Unito, alcune organizzazioni di volontariato sono già pronte ad assumersi questo ruolo, ma altre hanno bisogno di un maggiore sostegno per sviluppare strategie, qualità di gestione, customer care e valutazione delle prestazioni.
D. Lei crede che, nel Regno Unito, la società civile sia pronta per questo nuovo impegno? Ed è disposta, secondo lei ad assumersi queste nuove responsabilità? Oppure la società civile considera semplicemente questa iniziativa come una sorta di copertura per i tagli di spesa e per la riduzione del numero/livello dei servizi pubblici?
R. La maggior parte dei dirigenti pubblici del Regno Unito è molto scettica sul fatto che i cittadini siano disposti ad impegnarsi di più. In realà i cittadini si stanno muovendo in quella direzione già da ora. Ad esempio, oggi il 90% dell’assistenza sociale non viene fornita dal settore pubblico, ma da parte delle famiglie (in modo particolare dalle donne) che si prendono cura dei genitori malati o bisognosi o dei loro figli disabili. A volte vengono chiamati 'volontari' ma la verità è che molti di loro non hanno altra scelta, dal momento che lo stato ha messo in chiaro che non fornirà questa assistenza con fondi pubblici. Una indagine condotta da Governance International con Tns-Sofres sui cittadini europei nel 2008 ha evidenziato come il 70% dei rispondenti sia disposta a investire più tempo per migliorare il proprio quartiere, la sicurezza pubblica o il livello di salute nella propria zona. Quello che manca, in questo momento, è una analisi approfondita della società, che identifichi con precisione chi è disposto a fare cosa e in che modo. Solo quando avremo questo tipo di ricerca, il settore pubblico sarà in grado di fare le giuste offerte alle persone giuste. Chiaramente, al momento, siamo molto lontani da tutto questo. Gli approcci attuali, che si fondano su richiami ed inviti generali per la solidarietà e si appellano a 'contribuire a rendere questa città la migliore del paese', oppure che spingono genericamente ad 'aiutare gli altri' sono così vaghi e poco praticabili da generare più che altro cinismo, invece che spingere ad impegnarsi concretamente per migliorare le cose.
D. In Italia, il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale sottolinea il ruolo importante della società civile nello sviluppo dell’ interesse generale. Inoltre, si evidenzia il ruolo dello Stato nel favorire e promuovere le attività della società civile. Lei crede che questi due elementi - empowerment dei cittadini e Stato facilitatore – siano fondamentali anche paradigma del Regno Unito?
R. Sì, entrambi questi principi svolgono un ruolo importante nelle politiche del nuovo governo inglese. Naturalmente, nella pratica ci può essere una vera tensione tra questi due principi. Ad esempio, da un lato il governo inglese afferma che ci sono troppe persone in carcere e che altrettanti criminali già condannati dovrebbero scontare la loro pena lavorando in comunità, piuttosto che in prigione. In questo modo, in primo luogo, potrebbero pagare il loro debito con la società (senza costare troppo in termini di spesa pubblica) e oltretutto, riuscirebbero a riabilitarsi concretamente. D’altro canto però molti cittadini, in particolare quelli vittime di reato, sono propensi a tenere più criminali possibili rinchiusi, e non di meno. Alla fine, ciò che è importante è la necessità di trovare un equilibrio tra il 'localismo' - per cui i cittadini hanno il potere di decidere le cose che veramente dovrebbero riguardare le priorità locali - e 'gli standard minimi nazionali, in base a cui il governo centrale detta alcune politiche nazionali, uguali per tutti a prescindere da dove si vive.