Intervista a Gianfranco Pomatto - Il caso della Gronda di Genova
Gianfranco Pomatto, analista di politiche pubbliche ed esperto di processi decisionali inclusivi, ci illustra l’esperienza del processo partecipativo attivato per la Gronda di Genova, a cui ha preso parte (ottobre 2009)
Tra dicembre 2008 e aprile 2009, su iniziativa del comune di Genova e di Autostrade per l’Italia, si è svolto, in Italia, il primo dibattito pubblico riguardante una grande infrastruttura: un nuovo tratto nel nodo autostradale di Genova, denominato Gronda. L’originalità di questo processo partecipativo sta sia nel contenuto (la costruzione di una grande opera pubblica) sia nelle sue modalità, essendo affidato ad una commissione indipendente nominata ad hoc.
A Genova la realizzazione di un nuovo tratto di autostrada, che si affianchi a quella costiera esistente, è un tema oggetto di discussione a partire dagli anni ’80. Nel 2007, su iniziativa della sindaco di Genova, si è ottenuta la disponibilità di Autostrade per l’Italia a realizzare un dibattito pubblico, sul modello francese, in grado di considerare ulteriori ipotesi di tracciato rispetto a quelle previste.
D. Il dibattito pubblico, approccio partecipativo che nasce e si sviluppa in Francia, è un percorso di informazione, discussione e confronto tra proponenti di un’opera e cittadini, gestito da una commissione indipendente dalla fase iniziale del progetto, quando molte opzioni sono ancora sul tappeto. È importante il “quando” si avvia un processo di partecipazione?
R. Direi che per certi versi è un aspetto determinante. In generale bisognerebbe cominciare il più presto possibile, ossia quando sono già state definite le linee generali del progetto ma, allo stesso tempo, sono disponibili ancora molte opzioni decisionali e c’è quindi un campo molto ampio di discussione e vasti margini di correzione e cambiamento del progetto di massima.
Il raddoppio autostradale del nodo genovese ha una lunga storia e il dibattito non è certo il primo atto di questa vicenda. Tuttavia ciò che è importante sottolineare è che il dibattito si è aperto mettendo in discussione cinque alternative di tracciato, piuttosto differenti tra di loro per conformazione e impatto sul territorio. Insomma il dibattito, pur non avvenendo in un fase molto precoce, ha visto comunque molte opzioni ancora aperta, senza nessun progetto definitivo semplicemente da accettare o respingere.
D. Dall’esperienza francese e dal caso di Genova si evince che un ruolo strategico in questi processi è ricoperto dalla committenza politica. È d’accordo? Qual è il ruolo del commitment politico nei processi partecipativi?
R. Il ruolo dei responsabili politici è di grande importanza, anche se si tratta di un ruolo innovativo rispetto alle funzioni che più abitualmente sono chiamati a svolgere. Potremmo definirlo di regia e di garanzia del processo. Ciò è particolarmente rilevante dove, come in Italia, non c’è l’obbligo di avviare questi tipi di processi. Serve allora l’impegno dei decisori politici nell’attivarli e nel rispettarne l’indipendenza durante il loro svolgimento. Dopo il processo, che è di carattere puramente consultivo, spetta ai responsabili politici dar seguito, con provvedimenti formali, alle indicazioni e alle sollecitazioni emergenti dal confronto, così come dar conto pubblicamente delle eventuali indicazioni o posizioni che non si intendano portare avanti.
Nel caso di Genova, il sindaco e tutta la municipalità hanno svolto esattamente questo ruolo: hanno aperto il dibattito, coinvolgendo Autostrade per l’Italia. I componenti della municipalità sono stati quasi sempre presenti, assumendo una posizione di ascolto e lasciando un grande spazio nella discussione ai comitati, alle associazioni e ai cittadini. D’altro canto, quando si trattava di rispondere a questioni di responsabilità del comune, il sindaco è intervenuto direttamente. A conclusione del processo, il comune ha raccolto gli esiti del dibattito e li ha tradotti in atti formali (ad es. con una deliberazione della giunta comunale del mese di giugno 2009 si è definito un protocollo di intesa sulle garanzie per i cittadini che devono abbandonare la propria abitazione).
D. Si è parlato dell’importanza di dar sempre conto delle decisioni prese, in un’ottica di garanzia del processo. Quanto è importante la trasparenza e l’informazione nei processi partecipativi?
R. La trasparenza e l’informazione sono degli elementi fondamentali dei processi partecipativi e permettono, a mio avviso, di distinguere la partecipazione vera da quella “finta”.
In questo caso, il dibattito è stato avviato fra tanti dubbi e perplessità da parte dei gruppi contrari alla costruzione dell’opera, che temevano non si trattasse di un reale percorso di partecipazione ma di un modo per giustificare a posteriori decisioni già prese. Uno degli elementi che ha, invece, fatto maturare una posizione favorevole nei confronti del dibattito pubblico è che si sono rese disponibili una serie di informazioni, a disposizione del comune, che in precedenza non erano pubbliche, come i dati riguardanti il traffico attuale sul nodo di Genova e l’elenco delle abitazioni potenzialmente da abbattere. C’è stata una scelta di trasparenza, impegnativa ma determinante lungo tutto il percorso.
D. Nel caso di Genova c’è stata quella che lei chiama “soluzione inedita”, ossia l’innovazione dovuta alla partecipazione?
R. Nel caso di Genova il processo partecipativo ha creato effetti nuovi sia di prodotto che di processo.
Uno, che potremmo definire di prodotto, riguarda il tracciato dell’autostrada: il tracciato proposto dopo il dibattito dai progettisti non corrisponde a nessuno di quelli presentati al dibattito iniziale. Si è scelto, come riferimento, una delle cinque ipotesi di tracciato poste in discussione e, grazie al dibattito e ai numerosi spunti raccolti con ciò che seguendo l’esperienza francese abbiamo definito “quaderni degli attori”, si sono messe a punto ulteriori varianti nella parte iniziale e nella parte finale del tracciato.
Altri effetti, che si potrebbero definire di processo, riguardano l’approvazione della giunta comunale di un accordo con Autostrade per l’Italia e con ANAS, in cui si stabilisce che gli abitanti che perderanno la propria abitazione vedranno riconosciuto un corrispettivo pari al prezzo di mercato dell’immobile (e non un semplice indennizzo per esproprio). Inoltre, sono state definite delle linee guida che prevedono la costituzione di una commissione locale di controllo, aperta anche alla rappresentanza dei residenti, che dia continuità al dibattito anche nelle fasi successive di progettazione definitiva e esecutiva dell’opera, oltre che durante la fase di cantierizzazione, che naturalmente dureranno diversi anni.
D. Lei parla dell’importanza del ruolo degli stakeholder e della necessaria ampiezza ed eterogeneità dei partecipanti ad un processo di questo tipo. In che modo si sono individuati gli attori da coinvolgere nel dibattito pubblico di Genova?
R. E’ stata svolta un’indagine preliminare che ha permesso di individuare le diverse posizioni esistenti. Nella fase preliminare sono stati realizzati 72 incontri bilaterali tra la commissione e i singoli soggetti (provincia, regione, comune, camera di commercio, Confindustria, l’autorità portuale, le associazioni ambientaliste e le altre associazioni attive sul territorio). L’obiettivo era quello di raggiungere tutte le posizioni rilevanti favorevoli e contrarie all’opera, comprese quelle intermedie.
Nel corso del processo, è accaduto che la parte contraria all’opera ha partecipato molto attivamente agli incontri pubblici, mantenendo acceso il dibattito e rendendo difficile la manifestazione delle posizioni favorevoli. La commissione ha prestato molta attenzione a questa dinamica e ha stimolato la partecipazione anche dei favorevoli attraverso altri strumenti di ascolto. Molto importanti sono stati i tre laboratori, coordinati dalla commissione e a cui hanno preso parte sia i sostenitori che gli oppositori dell’opera che, avevano l’obiettivo di promuovere un dibattito più aperto e produttivo possibile. In questi ambiti è nata l’idea del comitato locale di controllo e i progettisti si sono confrontati direttamente con cittadini e con i tecnici, avendo così modo di mettere progressivamente a punto una loro controproposta.
D. Ha parlato di dibattiti sempre molto accesi e conflittuali come è possibile gestire il paradigma conflitto/cooperazione in maniera costruttiva?
R. Conflitto e cooperazione si tengono insieme se il dibattito pubblico non diventa un gioco a somma zero. Deve essere, insomma, una situazione in cui ciascuna parte riceve almeno parzialmente attenzione alle proprie esigenze e risposte alle proprie obiezioni. Se questo accade, c’è un reale interesse da parte di tutti a partecipare e anche il conflitto può essere ricondotto ad una dialettica costruttiva.
Nel caso di Genova, ad esempio, il fronte contrario ha ricavato moltissime informazioni, ha avuto modo di avviare con il comune, il porto e le ferrovie un articolato discorso sulla mobilità. Ha ottenuto impegni sul processo successivo, garanzie sulle decisioni prese oltre ad una riformulazione del tracciato che riduce di molto l’impatto sugli abitanti.
D’altro canto i progettisti hanno progressivamente avuto modo di stabilire un rapporto diretto con il territorio, che ridurrà sicuramente la conflittualità nelle fasi successive di progettazione di dettaglio e di esecuzione delle opere.