Intervista a Giovanni Valotti - Università Bocconi
Un'intervista a Giovanni Valotti, professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso il Dipartimento di Analisi Istituzionale e Management Pubblico dell'Università Bocconi, sul tema della misurazione delle performance (gennaio 2010)
D. Cosa intende per performance?
R. La performance della pubblica amministrazione dipende, prima di tutto, dalla sua capacità di essere utile ai cittadini, anche se rispondere ai bisogni dell’utenza non è sufficiente.
Una seconda dimensione rilevante è la qualità dell’azione amministrativa. L’ente pubblico virtuoso è capace di programmare e rispettare i programmi. Produce servizi di qualità, utilizzando in modo efficiente il denaro pubblico per garantire la salute finanziaria nel lungo periodo. Investe nella modernizzazione dell’organizzazione, nell’arricchimento del capitale umano e nella promozione dell’integrità e della legalità. Fa sistema con altri soggetti pubblici e privati. È trasparente ed accountable nei confronti dei cittadini.
Una terza dimensione della performance di un ente pubblico attiene alla sua competitività. Possiamo misurare la performance di un’amministrazione rispetto ad enti pubblici simili; oppure rispetto a soggetti privati che offrono servizi analoghi; infine, possiamo osservare l’andamento dei risultati di una singola amministrazione nel tempo.
Un’ultima dimensione rilevante è il gradimento dei destinatari dei servizi, ed un buon sistema di misurazione deve intercettare ed integrare tutte queste dimensioni.
D. Benchmarking e ranking nelle pubbliche amministrazioni: quali limiti?
R. Da alcuni decenni, la performance della pubblica amministrazione è una priorità assoluta nelle agende dei paesi industrializzati. Trenta anni di riforme neo-manageriali hanno avuto un riflesso anche sul linguaggio: termini come “target”, “benchmark”, “league table” sono entrati a far parte del vocabolario corrente della pubblica amministrazione.
In molti casi, la proliferazione di metodologie e modelli di misurazione dei risultati ha mancato di respiro strategico e si è ridotto a puro esercizio di stile. Strumenti nuovi sono stati neutralizzati da logiche vecchie. Non sono rari i casi di sistemi di estremamente sofisticati che si sono poi arenati nella fase di implementazione.
Oggi si apre una stagione nuova, anche sotto il segno di crescenti tensioni di finanza pubblica. Facendo tesoro di anni di sperimentazione, le amministrazioni all’avanguardia stanno rinunciando alla velleità di misurare tutto per poi non riuscire a misurare niente.
Per evitare gli errori del passato, gli strumenti di nuova generazione dovranno essere più parsimoniosi, più affidabili e più robusti. Più parsimoniosi perché troppo spesso la sottovalutazione del costo di implementazione ha decretato il fallimento di modelli perfetti sulla carta. Più affidabili perché, in passato, la mancanza di consistenza nel tempo dei criteri di misurazione e l’eccesso di volatilità dei dati hanno spesso reso questi strumenti poco credibili. Più robusti dal punto di vista metodologico per evitare di prendere abbagli: esiste oramai una sterminata letteratura scientifica sui limiti dei sistemi di benchmarking che non tengano conto delle concrete condizioni di contesto, socio-economiche e non solo, nelle quali i singoli enti si trovano ad operare.
D. In che modo la stagione delle riforme potrà migliorare la performance dei servizi degli enti locali alle imprese e ai cittadini?
R. Le riforme istituzionali e normative, da sole, non bastano. Più volte, in passato, la riforma della burocrazia si è ridotta a semplice burocrazia delle riforme: tante trasformazioni sulla carta e pochi cambiamenti. La piena applicazione delle riforme istituzionali richiede, invece, trasformazioni concrete nei modelli di funzionamento e nelle logiche di gestione degli enti.
A questo riguardo, assume grande rilievo il tema del change management, ovvero la capacità di mettere a fuoco una strategia di cambiamento, del settore pubblico nel suo insieme e dei diversi enti che lo compongono. È necessario tradurre in azioni le innovazioni progettate, superando le forme di resistenza tipiche di qualunque assetto consolidato.
Da questo punto di vista, il contributo delle discipline manageriali è cruciale per tradurre le riforme istituzionali in processi amministrativi e servizi in grado di creare più valore per il cittadino. Mai come in questo momento storico le condizioni sono favorevoli per una trasformazione radicale del settore pubblico. Spinge in questa direzione l’opinione pubblica. Lo richiede la congiuntura economica ed ancor più la tensione strutturale nelle finanze pubbliche. Lo reclamano a gran voce le imprese. Se lo aspettano i cittadini e gli stessi dipendenti pubblici. Serve, per questo, un’energica cura per una burocrazia malata. E la ricetta si fonda su due ingredienti essenziali.
E’ necessario, innanzitutto, creare pressione sui risultati delle amministrazioni. In assenza di meccanismi di libero mercato, ci sono due modi per creare la necessaria pressione sugli enti. Il primo è metterli in competizione tra loro o con concorrenti privati. È quello che Albert Hirschman chiama choice: dare agli utenti la libertà di scegliere dove curarsi o a che scuola mandare i propri figli. Naturalmente, non per tutti i servizi pubblici questo è possibile. Una seconda soluzione è allora garantire la trasparenza sui livelli di performance, dando voce agli utenti. Ben venga allora l’obbligo di pubblicare e diffondere i risultati. L’operazione trasparenza, ovviamente, non deve ridursi a mero esercizio tecnico per gli addetti ai lavori. In questo, internet giocherà un ruolo sempre più rilevante.
Un secondo, importantissimo, ingrediente riguarda il risveglio dell’orgoglio, della capacità professionale e dell’entusiasmo dei dipendenti pubblici. Le nostre amministrazioni hanno un gran bisogno di meritocrazia, perché solo questa può garantire la motivazione e la crescita professionale degli operatori.
Non è la prima volta che si tenta di riformare la pubblica amministrazione e probabilmente non sarà l’ultima. Sulla carta, il nostro settore pubblico è all’avanguardia. Nei fatti, alcuni segmenti della nostra pubblica amministrazione versano in condizioni di grande arretratezza. Bisogna allora entrare nel vivo di queste difficoltà di attuazione e risolvere il “gap di implementazione” delle riforme.
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