Intervista a Luca Brusati, scuola di direzione aziendale dell’università Bocconi di Milano
Il Primer europeo sul Customer Satisfaction Management (CSM), punto di riferimento importante per la pubbliche amministrazioni che lavorano sulle strategie di CSM, individua una serie di strumenti, quantitativi e qualitativi, per la rilevazione della soddisfazione degli utenti. A partire da questo, abbiamo chiesto al prof. Luca Brusati, del Dipartimento Policy and Management Pubblico della scuola di sirezione sziendale, università Bocconi, di approfondire con noi una serie di questioni legate alla scelta degli strumenti di CS nelle amministrazioni pubbliche (ottobre 2011)
D. In che senso possiamo parlare di “Customer” Satisfaction nel pubblico?
R. A mio giudizio il dibattito in merito al fatto se si possa o meno parlare di “clienti” delle istituzioni pubbliche ha carattere meramente ideologico: si tratta di etichette, senz’altro importanti in quanto espressione di universi valoriali; oggi però nessuno mette in dubbio che, anche nel rapporto con il settore pubblico, i “clienti” (o gli utenti, o i cittadini) abbiano delle aspettative. Se riteniamo che queste aspettative debbano essere tenute in considerazione nel progettare le modalità di erogazione del servizio, stiamo già adottando una logica di customer satisfaction: e questo, al di là delle questioni nominalistiche, mi sembra il punto importante.
D. Quanto gli strumenti di rilevazione della customer satisfaction pubblica sono stati mutuati dal privato?
R. Gli strumenti di rilevazione, come spesso capita con gli strumenti, non presentano grandi differenze. Il cosiddetto “metodo SERVQUAL”, che è alla base del Primer Europeo su Customer Satisfaction Management, si fonda sul concetto che un cliente è soddisfatto quando la prestazione supera le sue aspettative: si tratta evidentemente di una logica applicabile sia al pubblico che al privato. Diverso è il caso di altri strumenti che il Primer presenta in breve, ma che riguardano il tema dei processi decisionali partecipativi o del marketing pubblico piuttosto che la rilevazione della customer satisfaction.
D. Con che effetti?
R. La rilevazione della customer satisfaction ha senso se si parte dal presupposto che possa essere utilizzata per la ridefinizione delle modalità di erogazione del servizio: chiedere l’opinione del cittadino e poi non fare nulla comporta il serio rischio di un effetto boomerang. Però bisogna anche valutare con realismo quanto il cittadino medio sia qualificato a esprimere un parere: l’opinione del “cliente” è uno stimolo importante, ma sovrastimare la sua capacità di giudizio può avere effetti distorcenti, soprattutto quando questo giudizio rischia di concentrarsi su aspetti accessori della prestazione, o su una prospettiva rivolta in via esclusiva al breve termine.
D. Può farci degli esempi?
R. Penso a temi come la chiarezza della segnaletica, le caratteristiche dell’arredo urbano o la gamma di servizi di una biblioteca: in casi del genere ha senso interpellare il beneficiario del servizio. In altri casi, peraltro, ritengo preferibile privilegiare il giudizio di altri “valutatori”: per esempio rispetto alla qualità di una prestazione sociale, ai benefici legati alla transizione al digitale terrestre, o al merito dell’introduzione della raccolta differenziata. Questo non esclude certo la possibilità di effettuare un’analisi di customer satisfaction: il punto è utilizzarne i risultati mettendoli a sistema con altri meccanismi di valutazione della performance. In questo senso, citerei l’esperienza delle Università di Padova, Udine e Villach che, coordinate dall’agenzia FORSER e in partnership con ANCI, lavorano a un progetto europeo di benchmarking chiamato BenchPA, volto a mappare sistematicamente le prassi in materia degli enti locali italiani e austriaci.
D. Se dovessimo fare una sintetica panoramica/analisi degli strumenti per la rilevazione e l’ascolto oggi sul campo, come potremmo “catalogarli”?
R. Semplificando un po’ il quadro, ci sono essenzialmente tre alternative: a un estremo, un’analisi “dedicata” approfondita, come quella proposta dal Primer europeo; a un livello intermedio, un’analisi “dedicata” ma di tipo “quick and dirty” (che, per capirci, può utilizzare anche il sistema delle emoticons); all’altro estremo, una valorizzazione sistematica del feedback degli utenti, che non include solo i reclami, ma soprattutto i commenti, le segnalazioni e le richieste che questi avanzano in merito alle modalità di erogazione del servizio.
D. Un punto ovvio è “scegliere gli strumenti giusti per il bisogno giusto”. Come un’amministrazione intenzionata ad attivare un’azione di rilevazione della CS può orientarsi nella scelta?
R. Vale il criterio applicabile a tutti i sistemi informativi: dipende dall’uso che intendo fare dell’informazione. Un’analisi approfondita, per esempio con il metodo SERVQUAL, offre informazioni dettagliate ma comporta un onere significativo in termini organizzativi: dunque ha senso se si intende riconsiderare le modalità di erogazione del servizio, ma non si presta a un uso routinario. Analisi “quick and dirty” sono meno impegnative ma danno comunque risultati sistematici: si possono dunque utilizzare per il monitoraggio continuativo della customer satisfaction, pur fornendo un dettaglio molto minore. La valorizzazione sistematica del feedback degli utenti è un’opzione sottovalutata: non offre “misure” quantitative di cui vantarsi sui giornali, ma è quasi “a costo zero”, in quanto semplicemente evita di disperdere la ricca messe di informazioni che il cittadino già fornisce di sua spontanea volontà.
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