Intervista a Roberta Bellini, responsabile del settore Sviluppo strategico, innovazione e qualità dell'azienda ospedaliera "Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo" di Alessandria

Proponiamo attraverso il contributo di Roberta Bellini un approfondimento sulle strategie di customer satisfaction management in una struttura sanitaria complessa che pone al centro il paziente. L'azienda ospedaliera di Alessandria ha partecipato alla giornata dedicata al CSM, promossa dal DFP in collaborazione con ForumPA, che si è tenuta il 10 maggio scorso (giugno 2011)

D. L’AO nazionale SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria ha messo in piedi un sistema di customer satisfaction management particolarmente articolato e ben strutturato. Può descrivercelo brevemente, tracciando  le fasi del processo che portano al miglioramento?

R. Il nostro progetto di CSM è partito nel 2008,  in coincidenza con un cambio ai vertici aziendali. Il nostro direttore generale, da subito, ha posto la centralità del paziente come uno dei fondamenti della politica aziendale della qualità. L’intento era capire quale fosse la percezione dei nostri pazienti rispetto al “sistema azienda”. Partivamo, infatti, da una situazione in cui alcune strutture definivano annualmente un proprio sistema di valutazione della percezione dei pazienti e, di conseguenza, alla singola struttura era demandata sia la predisposizione dello strumento che la somministrazione e l’analisi dei dati. Come prima cosa, quindi, abbiamo costituito un gruppo di lavoro composto da direzione sanitaria, sistema qualità, relazioni esterne e psicologia per iniziare a capire quale sistema impostare.

Operativamente, oltre ad aver definito l’obiettivo dell’indagine, ci siamo focalizzati innanzitutto sull’analisi del pregresso, quello che era già stato fatto, avviando quella che viene chiamata l’indagine di archivio. Successivamente e a partire dal 2009, abbiamo individuato lo strumento di rilevazione, ovvero il questionario, in parte in auto - compilazione, da somministrarsi con il supporto delle associazioni di volontariato che sono state coinvolte anche nella fase di predisposizione dello stesso. Quindi abbiamo determinato, con una formula statistica, il campione rappresentativo, pari a circa 700 questionari. La distribuzione e dunque la possibilità di compilazione del questionario rimane aperta per tre mesi, solitamente da fine maggio a settembre, per poi, a fine anno, rendere pubblici i risultati e presentare il piano di miglioramento per l’anno successivo. A quel punto è intervenuto un altro elemento che contraddistingue il nostro sistema di CSM: la direzione ha voluto responsabilizzare le strutture sui risultati dell’indagine.

D. Come avete responsabilizzato le singole strutture aziendali sui risultati dell’indagine di customer satisfaction?

R. La soddisfazione rilevata è stata considerata come elemento di valutazione all’interno delle schede di budget, che nella nostra azienda sono schede multidimensionali. Questo vuol dire che in fase di assegnazione budget non si considerano solo gli aspetti economico-finanziari, ma anche gli aspetti di qualità tecnica e percepita. Concretamente, sono stati assegnati obiettivi correlati ai risultati della rilevazione customer molto sfidanti, perché è stato chiesto alle strutture di raggiungere un risultato maggiore o uguale a 4 in una scala da 1 a 5, dunque un giudizio estremamente positivo che andasse dal buono all’ottimo. Questo significa che se non fosse stato raggiunto il 4 non sarebbe stato raggiunto l’obiettivo, direttamente correlato agli incentivi.

D. E’ un approccio in linea con le indicazioni in materia di performance correlate alla riforma Brunetta?

R. Nel piano delle performance correlato alla riforma Brunetta è previsto che uno degli elementi di valutazione dell’azienda sia proprio la percezione dei pazienti e che gli obiettivi fissati centralmente  siano declinati anche rispetto alle strutture, proprio per responsabilizzarle singolarmente. Quindi, in questo senso, siamo decisamente in linea con quanto previsto dal Dipartimento della Funzione Pubblica.

D. Come è articolata la fase di elaborazione e restituzione dati?

R. Abbiamo definito una data di start-up in cui tutte le strutture hanno iniziato a  somministrare i questionari, stabilendo un periodo definito. I questionari poi sono tornati all’ufficio qualità, nell’ottica di una gestione centralizzata della customer. Abbiamo analizzato i dati con opportuni indicatori e grafici, abbiamo individuato le criticità sia a livello aziendale che di singola struttura, infine abbiamo restituito le informazioni ai reparti, così che ognuno avesse la propria scheda con i propri risultati. I risultati sono stati restituiti anche alla direzione e alla cittadinanza. In particolare, con una conferenza stampa il direttore generale ha comunicato alla cittadinanza i risultati e le azioni di miglioramento che l’azienda intendeva intraprendere l’anno successivo per andare incontro ad alcune delle criticità segnalate dai pazienti. Per le criticità a valenza trasversale, diciamo aziendale, l’output è stato un piano di miglioramento con degli obiettivi chiari e definiti. Ogni struttura poi - e questo era anche un obiettivo di budget per l’anno successivo - doveva  implementare le opportune azioni di miglioramento sulle criticità proprie, cioè manifestate dai propri pazienti nei propri questionari.

D. Quanto  l’efficacia della prestazione può essere ridefinita a partire dalla percezione della stessa da parte del paziente?

R. Noi siamo partiti dal presupposto che una prestazione può essere efficace se soddisfa le esigenze di chi la riceve. Ovviamente nonsi può prescindere dall’efficacia clinica della prestazione che per una azienda sanitaria è uno di quei requisiti che Kano definisce come "must be", che implicano la sopravvivenza dell’azienda all’interno di un mercato di riferimento. Questa classe di indicatori è monitorata dall’azienda: abbiamo un sistema di indicatori all’interno di ogni singola struttura, rilevati centralmente a livello di direzione sanitaria, relativi all’efficacia della prestazione, quindi alle complicanze, agli indici di rischio e così via. Per una struttura sanitaria questa è una parte preponderante e come tale va considerata. Bisogna però uscire dall’autoreferenzialità. Posto che siamo una azienda a livello nazionale, posto che abbiamo degli indici di efficacia positivi, cerchiamo di capire se e quanto tutto questo sia effettivamente percepito dal paziente. Nella nostra visione è importante non solo lavorare sul core della prestazione ma anche capire quali siano le percezioni dei pazienti che inevitabilmente indirizzano le loro scelte successive.

D. Quali sono le dimensioni per rilevare la “percezione” del paziente? 

R. Le dimensioni che abbiamo valutato sono quelle che in letteratura vengono definite, dal punto di vista di un paziente, come fondamentali: accessibilità, tempi di attesa, comfort, qualità dell’assistenza e della relazione. Nella qualità dell’assistenza sono stati considerati aspetti correlati anche all’informazione e al rispetto della privacy, oltre alle informazioni date sulle terapie, ai comportamenti dopo il ricovero, alla visita ambulatoriale, mentre tra gli aspetti relazionali misurati rientrano quelli più correlati al rapporto diretto.

D. Cosa significa mettere il paziente al centro in una struttura sanitaria complessa?

R. Naturalmente il gli strumenti del CSM non sono gli unici. “Mettere il paziente al centro” vuol dire ascoltarlo, ma non solo. Abbiamo implementato una serie di strumenti integrati con il sistema di CSM che servono a rendicontare, a informare e a comunicare con il paziente, per non aver semplicemente un’analisi delle sue percezioni, per non inserirlo solo nella parte finale del processo ma per coinvolgerlo anche nella fase di programmazione.

Tra gli strumenti adottati ci sono il bilancio sociale, che è la rendicontazione a livello sociale dell’attività dell’azienda, la conferenza aziendale di partecipazione, attraverso cui la direzione si confronta ogni tre mesi con i rappresentanti dei cittadini e rendiconta, raccogliendo periodicamente le loro richieste. Abbiamo aderito a fine 2008 all’audit civico promosso da Cittadinanzattiva e Tribunale per i diritti del malato. In riferimento al rapporto emerso da questo audit civico, l’azienda ha implementato delle azioni di miglioramento. Abbiamo lavorato sulla comunicazione web, abbiamo realizzato campagne di comunicazione molto intensive, abbiamo integrato gli strumenti di rilevazione tipiche della customer con la gestione strutturata dei reclami.

D. Se dovesse dare consigli ad altri che approcciano il CSM in sanità, a partire dalla vostra esperienza, quali elementi ritiene assolutamente strategici? 

R. Io credo che ci voglia innanzitutto un input forte dalla direzione. La nostra direzione lo ha dato sia in termini di principi, facendo del CSM uno dei capisaldi della politica della qualità, sia in termini operativi perché sono state responsabilizzate le strutture, anche a livello di obiettivi incentivanti. La forte spinta della direzione si deve avere anche in fase di rendicontazione perché bisogna prendere in carico le istanze dei cittadini, altrimenti il tutto non avrebbe molto senso. Altro elemento fondamentale è il feedback, cioè è necessario dare un ritorno ai reparti ma anche, e soprattutto, ai cittadini-pazienti. Occorre dire in maniera trasparente quali sono stati i risultati e cosa l’azienda intende fare per migliorare gli stessi. Altrettanto importante è la questione metodologica, nel senso che il processo deve essere impostato seriamente, adottando strumenti e  riferimenti scientifici sia in fase di rilevazione che di valutazione e analisi. Soprattutto, e concludo, è essenziale che tutto questo non sia un ciclo che si esaurisce, ma deve trasformarsi in un circolo virtuoso. Quello della customer satisfaction è un progetto integrato con gli altri processi di pianificazione e controllo dell’azienda.

D. Quali sono stati gli errori o le criticità che avete ritenuto di correggere “in corsa”?

R. Dal 2009 al 2010 abbiamo rivisto il questionario. Inizialmente avevamo un questionario unico per tutte le strutture, poi l’abbiamo diversificato per degenze, ambulatori e aree critiche perché ovviamente le specificità erano fortemente diverse. La criticità  più avvertita è stata proprio che, soprattutto per alcuni reparti o servizi, un questionario unico e uniforme male si adatta alle esigenze specifiche di reparto o alla contingenza. Voglio dire che, magari, in un certo periodo il reparto vorrebbe valutare la percezione del paziente su determinati aspetti perché ha introdotto una nuova metodica o ci sono state delle modifiche nella gestione del reparto. Non essendo personalizzato per ogni reparto, un questionario “unico” potrebbe essere in questo senso una criticità  a cui però cerchiamo di porre un limite. Infatti, qualora davvero ci fossero delle necessita peculiari, gestiamo delle indagini ad hoc nei singoli reparti.

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Ultimo aggiornamento:  26/11/2015

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