La Customer Satisfaction vista da dentro. Da dove arriva la spinta al cambiamento
Il Customer Satisfaction Management rappresenta una vera e propria sfida organizzativa per le pubbliche amministrazioni. Nelle fasi di co-decisione, co-produzione, co-progettazione, co-valutazione che scandiscono il ciclo del CSM, infatti, l’organizzazione è chiamata ad aprirsi ad intelligenze esterne, assecondando una cultura di condivisione e cooperazione che tradizionalmente non le appartiene. Ne abbiamo parlato con Roberto Panzarani, docente di psicologia delle organizzazioni presso la facoltà di Psicologia dell’università degli studi dell’Aquila (gennaio 2012)
Prof. Panzarani, in termini di psicologia delle organizzazioni, cosa comporta per una pubblica amministrazione l’aprirsi a percorsi di Customer Satisfaction Management?
Dobbiamo considerare che il cittadino ormai è abituato a misurare e valutare la qualità del servizio ricevuto, nel privato come nel pubblico, tanto che ritengo che dal punto di vista del CSM non ci sia in realtà differenza tra attività pubblica e privata. Il cittadino attuale, infatti, da un lato è diviso in tante figure, da consumatore a cliente, dall’altro ha ben chiaro quale standard di servizio desidera, proprio perché, viaggiando, consumando e confrontandosi con realtà e operatori diversi, ha sviluppato una marcata competenza di benchmarking.
Dunque, rispetto ai servizi pubblici, il cittadino stesso diventa un cliente che sa misurare. Da questo punto di vista, il rapporto tra l’organizzazione pubblica che eroga servizi e il cittadino- cliente è profondamente diverso rispetto al passato. Disegnare e offrire un servizio misurabile dal punto di vista della qualità, tanto per una organizzazione privata quanto per una pubblica, richiede la capacità di mettersi in discussione ad un livello molto profondo. Questo non può che avere un profondo impatto sull’organizzazione, sui suoi modi di lavorare e soprattutto sulla sua cultura organizzativa.
La tradizionale cultura organizzativa della pubblica amministrazione italiana potrebbe essere un ostacolo a percorsi di CSM efficaci?
La cultura organizzativa sta cambiando dovunque grazie all’innovazione tecnologica. Oggi tutti hanno la possibilità di accedere ad una dimensione tecnologica estremamente potente e questo sta cambiando tantissimo le organizzazioni private e, pur con ritmi meno sostenuti, sta entrando anche nelle realtà pubbliche. Credo che avremo grandi sorprese in futuro, proprio perché la cultura organizzativa dipende in fondo dalla cultura in senso lato. E nella cultura attuale molte delle innovazioni tecnologiche sono collegate agli strumenti che abbiamo a disposizione: dal pc, allo smartphone al tablet. Faccio un esempio: se nella scuola si inizia a distribuire l’Ipad agli studenti, è chiaro che cambierà anche la modalità di insegnamento perché il nuovo strumento apre mondi completamente diversi. La stessa dinamica vale anche per il settore dei servizi. Nel pubblico io penso che un grande cambiamento culturale sia necessario e ineluttabile. La variabile dell’innovazione tecnologica va tenuta in grande considerazione, proprio perché sta modificando tutte le organizzazioni offrendo la possibilità di migliorare i servizi erogati sia nel settore privato che in quello pubblico. Sono d’accordo con chi rileva nel pubblico una maggiore lentezza, ma credo che ci sarà una notevole accelerata nel futuro prossimo.
In una logica di CSM, le nuove tecnologie sembrano spingere con forza verso una cultura organizzativa “aperta” all’esterno…
Certo, basti pensare a quello che succede nei blog dei cittadini – clienti – consumatori. Con estrema rapidità i cittadini si organizzano e comunicano se e quando un servizio non funziona. Quando c’è una disfunzione oggi c’è la mobilitazione immediata di migliaia di cittadini. Questo inevitabilmente influisce sull’organizzazione. La prima conseguenza di ciò è una crescente necessità di trasparenza. Questa necessità viene avvertita sia a livello manageriale, con ripercussioni sui processi, sia a livello dei singoli dipendenti che spesso sono proprio quelli che hanno più chiara la necessità del cambiamento organizzativo, proprio perché di fatto essi stessi sono già protagonisti in altre sedi di comportamenti di cittadinanza attiva. Poi che ci siano strutture ancora burocratiche, gerarchiche che rallentano è cosa risaputa. Ma sono strutture destinate a soccombere, data l’esigenza diffusa di creare servizi pubblici diversi.
L’apertura verso l’esterno attraverso le fasi di CSM porta anche opportunità di crescita e rivitalizzazione per l’organizzazione?
Sempre più spesso si parla di co-creare, co-evolvere, co-innovare con i propri clienti. Questo vale ancora di più quando il cliente è il cittadino. Ci sono moltissimi esempi di persone che, laddove il servizio in modo reiterato non funziona, si auto-organizzano. Oggi con una tecnologia molto avanzata c’è la possibilità per le persone di creare con facilità una dimensione “wiki”, per cui si connettono fra di loro e in qualche modo, seppure non riescono a soppiantare il servizio che non funziona, quantomeno offrono una parziale alternativa. Questa dinamica chiaramente non è determinata dalla tecnologia ma è spinta da una collaborazione che, grazie alla tecnologia dei social network, è sempre più forte. Questa crescente dimensione “wiki” impone all’organizzazione di essere diversa, aprendosi alle intelligenze esterne. Aprirsi alle intelligenze esterne porterà ad un cambiamento delle stesse risorse interne all’amministrazione in termini di competenze da acquisire e sviluppare, in termini di stimoli da elaborare e in termini di cultura del servizio. Bisognerà ricostruire la governance del servizio, collaborando tra il dentro e il fuori.
Si tratta di una bella sfida alla ricerca di nuovi modelli organizzativi?
Proprio così. E’ ovvio che le competenze di chi lavora in una organizzazione che eroga servizi dovranno essere rinnovate e saranno sempre più competenze organizzative, dalla capacità di raccogliere e valorizzare i contributi a quella di integrarli nei processi, razionalizzandoli. Intendo dire che se prima sostanzialmente mi sedevo e disegnavo l’organizzazione perche già sapevo come funzionava, con un disegno top down (un esempio su tutti il classico modello fordista), oggi il disegno dell’organizzazione è diverso, molto più molecolare. Questo elemento della molecolarità contraddistingue, neanche a dirlo, le innovazioni tecnologiche di cui parlavamo prima. Gli usi attuali della tecnologia sono molto più personalizzati, mobili, flessibili e non si sposano più con una cultura organizzativa che invece tende a rimanere rigida al pari delle modalità di fruizione delle tecnologie precedenti. Sulla base di questo è chiaro che tutte le organizzazioni che vogliono essere sempre più centrate sul cliente devono utilizzare questi strumenti in modo diverso ed organizzarsi di conseguenza in maniera diversa.
In che senso “devono” organizzarsi in maniera diversa?
Dico “devono” per un motivo molto semplice. Il movimento di innovazione sociale che è “fuori” dalle organizzazioni pubbliche non si fermerà. Se nei processi di disegno ed erogazione del servizio non siamo in grado di contattare le nuove tendenze e le nuove istanze, il risultato sarà che le persone (per quanto possibile) si auto-organizzeranno, faranno organizzazione indipendentemente dalla nostra volontà. Quindi chi oggi eroga servizi, sia esso un negozio o una pubblica amministrazione, deve farlo in questo nuovo modo.
In conclusione, per potenziare il ciclo del CSM, qual è il tema principale su cui le organizzazioni pubbliche dovrebbero lavorare?
Il tema è che la tecnologia va avanti, mentre la governance dei processi innovativi è molto arretrata. La buona notizia è che gli strumenti ci sono e sono anche usati dai cittadini-utenti; sta alle singole organizzazioni fare propria un cultura organizzativa più flessibile ed in linea con i nuovi strumenti. Questa è l’urgenza su cui lavorare, tenendo presente che tutti i disservizi saranno sempre più segnalati nel settore pubblico come nel privato.