Tema: Interviste. Tre domande su...

''Governare la rete dalle parole ai fatti''

Un'agile pubblicazione traccia il percorso verso una nuova modalità di governo delle città

di Andrea Ugolini


Che cosa significa “governare la rete”? Come stanno cambiando le città e, di conseguenza, cosa devono fare le amministrazioni per adeguarsi a questo mutamento e non farsi trovare impreparate, bensì cogliere le opportunità che questa nuova prospettiva può offrire? Per offrire una risposta a queste e ad altre importanti domande, il Direttore generale del Comune di Reggio Emilia Mauro Bonaretti, partendo dalla propria esperienza concreta, individua i punti essenziali di questo percorso, che si sta rivelando come l’unico possibile per tutte le città e, in senso più ampio, per tutte le comunità che vogliono guardare al futuro. La pubblicazione può essere scaricata registrandosi nel sito del Forum PA




Dottor Bonaretti, innanzitutto, che cosa vuol dire "governare la rete"? e quali sono i soggetti che necessariamente devono farne parte?

“Governare la rete” significa che il Comune diviene il centro di una rete di soggetti (pubblici e privati) che, in modo condiviso e concertato, si assumono collettivamente la responsabilità di realizzare un progetto strategico complessivo per lo sviluppo di una città al di là degli specifici ruoli e interessi individuali. Così, ad esempio, se al pubblico viene chiesto di impegnarsi nello sviluppo economico ben oltre le proprie (ristrette) competenze amministrative, alle imprese viene chiesto di contribuire al welfare locale, attivando convenzioni con gli asili o le case protette per i familiari dei propri dipendenti oppure partecipando concretamente all’integrazione dei propri lavoratori stranieri. Nuovi progetti di welfare aziendale, integrati con le politiche pubbliche, prendono il posto dei vecchi benefit o delle pratiche filantropiche. Così nello stesso modo le azioni dei soggetti del terzo settore escono dall’estemporaneità individuale e si connettono entro visioni condivise di benessere collettivo.
“Governare la rete” significa appunto che al sistema pubblico, accanto al tradizionale ruolo di fornitore di servizi, viene chiesto di governare e coordinare questa fitta rete di attori che contribuiscono al benessere economico e sociale della comunità, allargando i processi decisionali e integrando le logiche di programmazione delle singole politiche pubbliche in una visione complessiva di città. Dopo che per molti anni era stata teorizzata la necessità dello Stato minimo e della riduzione del perimetro pubblico, nelle città più evolute la politica e l’amministrazione non perdono affatto la propria centralità, ma, al contrario, la riacquistano in termini di leadership progettuale e di visione di sistema.
Certo anche per il settore pubblico è necessario lo stesso scatto ambizioso che viene chiesto agli altri attori: concentrare la propria azione sulle parti pregiate della catena del valore, innestare nuove capacità di visione sistemica, migliorare la propria capacità di investire in ricerca e creatività.


Lei indica cinque direttrici fondamentali per il cambiamento delle nostre vite e delle nostre città: pianificazione strategica integrata, economia della conoscenza, nuovo welfare, armonia del territorio e mobilità sostenibile, nuova cittadinanza. In che modo e con quali risorse gli amministratori pubblici possono governare la rete in coerenza con tali processi di cambiamento?
 
Sul piano operativo governare la rete significa poter contare su team di progetto interistituzionali: strutture capaci di integrare i diversi attori per la realizzazione di obiettivi comuni. Rispetto a questioni vissute come particolarmente strategiche per la vita di una comunità vale la pena individuare modalità organizzative in grado di far interagire istituzioni diverse pubbliche e private al fine di affrontare concretamente la mediazione tra interessi e il governo delle interdipendenze. Ad esempio un progetto di infrastrutturazione di una porzione rilevante di territorio può essere realizzata attraverso un gruppo di lavoro congiunto composto da amministratori, tecnici delle diverse istituzioni pubbliche, ordini professionali, rappresentanze di categorie e dei cittadini, proprietari delle aree interessate.
Ma ci sono anche casi nei quali In qualche modo il Comune sveste i panni dell’unico attore di interesse generale e cede parte del proprio potere decisionale, riconoscendo il valore di altri soggetti e traducendo così il principio di sussidiarietà orizzontale in soluzioni organizzative concrete.
Queste forme possono essere molteplici, ma quella della fondazione di partecipazione è molto impiegata. E’ il caso delle nascenti fondazioni di comunità che si osservano nel welfare o di fondazioni nel campo dello sport nelle quali Comune, Coni, enti di promozione sportiva e società sportive partecipano insieme ad una fondazione di partecipazione che assume in carico la gran parte dei compiti storicamente esercitati in via esclusiva dai comuni.
Questo approccio richiede per i singoli attori ripensare il concetto stesso di progetto o di processo produttivo, non più rinchiusi negli specifici confini organizzativi, ma allargati alla organizzazione della rete. Pensiamo al processo di accompagnamento di un anziano. La sua qualità di vita e quella dei suoi familiari non è il frutto del singoli interventi degli attori (Comune, Asl, associazioni, volontariato, imprese sociali), ma dall’insieme di queste condizioni e dalla capacità di integrare le singole azioni in un unico processo di produzione dei servizi. Solo così la sua qualità di vita sarà quella di un cittadino a pieno titolo appartenente a una vera comunità. In questa prospettiva cambia radicalmente anche il concetto stesso di semplificazione: diventa centrale semplificare i modi attraverso i quali i cittadini possono esercitare i propri diritti non il singolo procedimento amministrativo. Se per restituire un palazzo storico ad una fruizione pubblica occorrono anni di attesa in soprintendenza, è importante ma non certo risolutiva la sola semplificazione degli atti dell’ASL, che pure partecipa al processo trasversale.
Ma se il processo produttivo è trasversale rispetto agli attori della rete a maggior ragione lo sono le politiche pubbliche che vanno valutate rispetto al raggiungimento degli obiettivi dal punto di vista della comunità. Un Sindaco non è chiamato solamente a rispondere per le prestazioni del Comune ma rispetto al benessere della comunità che amministra. La valutazione dei risultati nell’organizzazione non può dunque che essere prioritariamente a livello di impatto delle politiche sul sistema città nel suo complesso. Un basso tasso di occupazione ad esempio è un problema che una città deve affrontare e che il Comune deve inserire nella propria agenda, paradossalmente a prescindere dalle proprie competenze istituzionali, governando la rete degli attori che dispongono delle leve necessarie e i processi operativi trasversali conseguenti.
Ed è proprio a partire dal considerare il risultato della rete come impatto atteso rispetto ai bisogni della comunità che occorre re-impostare i processi decisionali di programmazione e allocazione delle risorse. Il cuore della decisione di programmazione quindi non è più quello di come allocare le risorse tra i centri di responsabilità del Comune ma diventa, nel governo di rete, quello della scelta di quali azioni, pubbliche e/o private, è prioritario finanziare per risolvere i problemi della comunità. 


Quali sono e come possono essere superate, secondo lei, le difficoltà delle amministrazioni nella realizzazione delle direttrici del cambiamento?

Oggi e amministrazioni locali raramente possiedono le condizioni amministrative necessarie per realizzare questi cambiamenti di ruolo.
I modelli organizzativi e di management attualmente presenti nelle amministrazioni agiscono in modo parallelo e indipendente rispetto alle politiche pubbliche. O meglio, le condizioni organizzative attuali rispondono all’obiettivo di produrre beni e servizi, ma non a quello di governare questa fitta rete di attori e progetti.
Le stesse innovazioni organizzative degli ultimi venti anni hanno concentrato l’attenzione su come rendere efficienti i servizi delle singole amministrazioni e non su come governare la rete e il sistema territoriale complessivo.
Un primo elemento di difficoltà è che nelle amministrazioni non sono mai individuati soggetti tecnici responsabili professionalmente del governo della rete e dei progetti. Spesso questa funzione è svolta dalla politica o da staff di consulenti esterni. Se però queste funzioni di governo divengono sempre più il valore aggiunto di una nuova capacità di amministrare è necessario che siano internalizzate nell’organigramma dei Comuni e, a tutti gli effetti, abbiano i requisiti, il potere e le responsabilità di chi esercita professionalmente la funzione pubblica. E’ una questione di trasparenza, di chiarezza delle responsabilità e di crescita del ruolo istituzionale delle amministrazioni pubbliche.
Il patrimonio di relazioni e fiducia con il sistema degli attori non può essere lasciato a task force temporanee per essere ricostruito ad ogni nuovo progetto, ma deve essere capitalizzato dalle amministrazioni e divenire una base consolidata per diventare punto di riferimento della comunità. Al contrario della retorica dell’esternalizzazione, si tratta di internalizzare e rendere stabili le funzioni chiave di governo. Se il core business delle amministrazioni passa dalla produzione dei servizi al governo della rete allora l’organizzazione deve introdurre nuove funzioni dedicate per esercitare il nuovo ruolo di governo delle politiche pubbliche.
La pianificazione strategica integrata, la crescita nell’economia della conoscenza, il nuovo welfare, l’armonia del territorio e la mobilità sostenibile, la centralità del progetto culturale di cittadinanza non possono essere ridotte alla erogazione di servizi, ma chiedono un protagonismo della comunità e un governo pubblico dedicato, legittimato e riconoscibile.


In che direzione deve andare la comunicazione pubblica per uscire dai messaggi tradizionali centrati sull’amministrazione e sulla relazione comune-utenti dei servizi?

In questo contesto, la comunicazione pubblica, centrata tradizionalmente sulla relazione tra Comune e utenti dei servizi, cambia obiettivi e destinatari. Si tratta cioè di usare la comunicazione rispetto a tre precise direzioni. In primo luogo a condividere gli obiettivi di policy: governare con la rete significa anzitutto condividere con gli attori e la comunità la direzione di marcia sotto il profilo valoriale e operativo. Differenziare la raccolta dei rifiuti, ad esempio, o diventa un obiettivo condiviso da un’intera comunità e vede l’impegno congiunto di una rete di attori o al contrario non sarà mai possibile realizzare nessuna raccolta differenziata.
In secondo luogo la comunicazione deve promuovere i comportamenti attivi degli attori, stimolando e incentivando la comunità a svolgere concretamente la propria azione in modo coerente attraverso campagne per i comportamenti civili, la partecipazione alla vita collettiva, il protagonismo dei cittadini. Far legittimare e riconoscere come importanti dalla comunità questi comportamenti è un fattore determinante per far agire la rete. Queste cose non avvengono per caso ma solamente con una comunicazione mirata e finalizzata a valorizzare il protagonismo.
In terzo luogo la comunicazione deve spostare la propria ottica assumendo il punto di vista del cittadino che vive la città. Ad esempio al cittadino interessa conoscere le opportunità di fruizione culturale della città, non quale sia l’ente o il soggetto erogatore. Il cartellone unico di una città ha diversi aspetti positivi: il cittadino si riconosce come effettivo destinatario dell’azione dei diversi attori, gli stessi soggetti della rete non perdono identità e trovano un maggior riconoscimento dei propri sforzi perché inseriti in una proposta di maggior valore, i costi di comunicazione si riducono drasticamente così come la sua dispersione mentre cresce l’efficacia.
Il Comune, governando la comunicazione della rete e attribuendo visibilità ad altri soggetti, non perde per nulla di riconoscibilità ma anzi acquista maggiore appeal nella proposta e dunque illuminando gli attori della rete, si riflette e brilla anche di luce d’altri. 


Lo sviluppo delle necessarie relazione e integrazione tra i diversi attori della rete è più un problema di risorse tecnologiche o piuttosto di competenze e percorribilità politica?

Non vi è dubbio che la traiettoria che sta compiendo la leva tecnologica è assolutamente in linea con questa direzione: dal cloud computing, all’interoperabilità dei sistemi, al web 2.0, alla logica integrata europea delle smart cities, la stessa fibra ottica in arrivo, tutto converge nella direzione di supportare il governo delle reti.
La disponibilità e la condivisione delle informazioni, la connessione continua e veloce, i social network, sono risorse concretamente disponibili e ampiamente utilizzate o utilizzabili dalle nostre amministrazioni. Relazione, cooperazione, integrazione tra attori mai come oggi sono facilitati e stimolati dalla disponibilità tecnologica.
Ma è sul piano della disponibilità di competenze professionali che si osservano le principali criticità: siamo capaci di spostare l’asse del ragionamento?
La questione non è di fattibilità tecnica, ma di percorribilità politica e di capitale umano.
Dobbiamo onestamente domandarci se nelle nostre amministrazioni siano presenti quegli imprenditori istituzionali dotati della leadership visionaria necessaria per governare la rete degli attori, condividere valori, concertare le azioni, mobilitare le risorse, guardare alla comunità.
Gli stessi attori della rete a loro volta sono disponibili ad uscire da una mera logica contrattuale (di make/buy nel caso di fornitori, o di cliente nel caso dei cittadini o delle imprese) e assumere una prospettiva di partnership rispetto all’interesse generale, pur conservando la diversità dei ruoli e degli interessi individuali?
Insomma è chiaro che governare gli attori della rete è in primo luogo un problema che dipende dalle caratteristiche degli attori stessi.
Probabilmente mancano molte competenze professionali ma più di tutto sono alcuni modelli cognitivi che vanno affrontati. Pensiero sistemico, costruire reti di relazione, negoziazione, cooperazione, lavoro di gruppo, orientamento al risultato, sono competenze che è possibile valutare, selezionare, apprendere, sviluppare.
E’ evidente che se queste competenze sono solamente voci di una scheda di valutazione non avranno nessuna possibilità di divenire patrimonio dell’organizzazione. Ma se al contrario rappresentano la griglia reale e concreta sulla base della quale sono impostate tutte le scelte e le politiche del personale (assunzioni, mobilità, incentivi, formazione), allora forse è possibile fare qualche passo avanti. Si tratta di investire, anche emotivamente, sui lavoratori, per sviluppare un senso di appartenenza fondato sul significato e il valore del lavoro pubblico. Se l’investimento valoriale sul personale pubblico è così rilevante, è altrettanto evidente che in una società complessa le esperienze professionali, necessarie per governare la rete, difficilmente potranno essere maturate all’interno di sentieri di carriera chiusi entro lo stesso ente o addirittura bloccati nella medesima posizione organizzativa.
Per questa ragione è innegabile che l’inserimento di figure esterne in possesso delle competenze necessarie, maturate nel corso di esperienze in contesti organizzativi differenti, è certamente una ricchezza sulla quale poter contare e una scelta capace di far fare un salto di qualità fondamentale all’organizzazione nel suo complesso.
Infine non va tralasciato il valore da attribuire ai processi tesi a formare un terreno comune tra gli attori della rete. Questa variabile è davvero fondamentale: è impossibile tracciare linee comuni di azione senza una consapevolezza condivisa dei problemi, una sintonia valoriale, un concreto approccio costruttivo ai beni pubblici. Per questa ragione tutte le esperienze di formazione condivisa hanno mostrato il loro valore: se, ad esempio, gli operatori sociali del comune, quelli del terzo settore e delle ASL possiedono una formazione comune e condividono gli stessi parametri culturali di riferimento, è del tutto evidente che la relazione risulti facilitata e con essa il governo complessivo della rete.


In conclusione, perché è oggi indispensabile governare la rete per il benessere delle comunità?

Se vogliamo che il benessere delle nostre comunità non sia compromesso da questa difficile congiuntura internazionale e da questa permanente conflittualità istituzionale e politica, è necessario agire immediatamente. Governare la rete non è una opzione ma è una necessità ed è una emergenza.
La competizione internazionale, la riforma del welfare, la salute dei nostri territori, il patto sociale che ci lega non possono aspettare i tempi indefiniti delle nostre amministrazioni, né gli esiti delle nostre riforme normative.
Attivare e governare la rete si può e, onestamente, si deve.
Occorre essere consapevoli di ciò che significa e delle necessità che comporta, ma l’unica cosa che davvero non possiamo permetterci è avere paura di non essere capaci e non credere più che le nostre amministrazioni possano cambiare.


Ultimo aggiornamento: 14/07/11