Tema: Innovazione amministrativa

Chi decide? Ascoltare prima, decidere poi per fare Sistema

Gestire sistemi di relazione complessi: un nuovo approccio alle decisioni che non si basi né sulla negoziazione infinita, né sul potere di interdizione di un singolo soggetto. Dalla cultura dei veti alla cultura della responsabilità.

di Giampietro Vecchiato

Chi decide? Ogni giorno, sfogliando i giornali e guardando alla vita economica, politica e sociale del nostro Paese, ci insegue questa domanda. Spesso la sensazione è di totale incapacità di comprendere, da una parte, lo schema organizzativo e gestionale entro il quale le decisioni dovrebbero essere prese e, dall'altra, la gerarchia nel potere decisionale. Per trovare una risposta ho provato a chiedere lumi ad alcuni uomini politici, dirigenti della pubblica amministrazione, opinion leader e imprenditori. L'affermazione è stata univoca: bisogna "fare sistema".

"Fare sistema" sembra diventato, negli ultimi anni, uno slogan buono per tutte le stagioni, per tutti i problemi; un approccio in grado di risolvere tutti i conflitti. Una metafora dal grande potere evocativo ma difficilmente spiegabile con concetti e azioni, con chiarezza e precisione. Infatti, tutti vogliono fare sistema, ma poi ciascuno rivendica una propria e forte autonomia.

Alcuni esempi per comprendere il significato di "fare sistema". Che cosa hanno in comune le conferenze dei servizi, gli accordi di programma, i patti territoriali, i progetti territoriali integrati (Pit), i piani di assetto territoriale intercomunale (Pati), i sistemi turistici locali (STL) e le molte altre esperienze simili?

Si tratta di progetti elaborati attraverso processi decisionali che dovrebbero includere un ampio numero di soggetti (sia pubblici che privati) interessati ad un determinato problema e la loro partecipazione alle scelte. In questi progetti si cerca quindi di giungere ad un risultato condiviso "a più voci" (a cura di Luigi Bobbio, Edizioni Scientifiche Italiane). L'immagine più frequente è quella di diversi attori che vengono messi a discutere attorno ad un tavolo, a negoziare, a risolvere conflitti, a prendere decisioni. Con quale efficienza ed efficacia?

Credo che superando l'incanto e la visione miracolosa della formula "fare sistema", sia possibile - e probabilmente indispensabile per il benessere dei cittadini e per il buon funzionamento della cosa pubblica - individuare una efficace metodologia per il governo delle situazioni complesse.

Il rischio infatti è quello della paralisi totale con evidenti ricadute negative sulla comunità, sui cittadini, sull'ordine sociale (Acerra insegna), sulla capacità di progettare e costruire il futuro. Credo che la crescente complessità, conflittualità, farraginosità e lentezza dei processi decisionali (che rende sempre più difficile un governo delle organizzazioni compatibile con le aspettative di una società velocissima, globalizzata e competitiva) derivi in buona parte dall'incapacità delle organizzazioni di governare sistemi di relazione con un numero crescente di soggetti che rivendicano il diritto ad essere ascoltati "prima" che siano decisi gli obiettivi da perseguire.

La mia impressione è che fino ad oggi le organizzazioni abbiano sì preso l'iniziativa di ascoltare i destinatari delle loro attività/decisioni (cittadini, clienti, consumatori, elettori, portatori di interesse, beneficiari, ecc), ma solamente "dopo" aver deciso gli obiettivi da perseguire e allo scopo di confezionare messaggi orientati ad accelerare (con tecniche persuasive) l'attuazione di decisioni già prese.

Il rischio è l'alta conflittualità; la frammentazione delle sovranità, la parcellizzazione dei processi e, soprattutto, la progressiva de-responsabilizzazione dei soggetti decisionali.

Il modello che mi permetto di suggerire prevede che l'organizzazione (pubblica amministrazione o azienda, pubblica e privata, profit e no-profit), prima ancora di definire i propri obiettivi di governo o di business, ascolti le aspettative e gli obiettivi dei propri pubblici, così da tenerne conto riducendo quindi, ovunque possibile e compatibile, i conflitti potenziali.

Se questo è il modello, la criticità sta spesso nell'inadeguatezza dei decisori a governare i sistemi di relazione con i pubblici influenti/stakeholder. Il passo successivo è quello di identificare le competenze necessarie per gestire le relazioni ed individuare i sistemi premianti delle leadership.

Tra le abilità manageriali richieste ai nuovi manager pubblici includerei: l'ascolto, la negoziazione, la collaborazione, la disponibilità a lavorare in team, l'empatia (intesa come capacità di mettersi nei panni degli altri), la comunicazione, la capacità di prendere decisioni e di lavorare per progetti.

Come indicatori da monitorare per impostare i sistemi premianti indicherei, tra gli altri: il livello di fiducia e di disponibilità dei soggetti al dialogo e al confronto; la reciprocità che i diversi soggetti sono disponibili a riconoscere agli altri partecipanti; il livello di impegno nel mantenere e migliorare la relazione.

La materia è sicuramente nuova e di grande interesse. Richiede però nuove figure professionali (o l'aggiornamento/specializzazione di quelle esistenti) in grado di gestire sistemi di relazione complessi e un nuovo approccio alle decisioni che non si può basare né sulla negoziazione infinita, né sul potere di interdizione di un singolo soggetto. Ed è fondamentale passare dalla cultura dei veti alla cultura della responsabilità.

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Ultimo aggiornamento: 28/09/05