Tema: Comunicazione pubblica

Problematiche giuridiche e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia

Sintesi della relazione di apertura alla giornata di studi su "La comunicazione pubblica", svoltasi a Modena il 13 dicembre 2004

di Paola Marsocci

Indice

1. Il problema della delimitazione dell'ambito di ricerca giuridica
2. All'origine dei recenti studi sul tema
3. L'evoluzione dell'attività di comunicazione istituzionale in Italia
4. Considerazioni conclusive


1. Il problema della delimitazione dell'ambito di ricerca giuridica

Quello denominato "comunicazione pubblica" è un settore di ricerca giuridica ancora oggi, per certi aspetti, nuovo o poco esplorato. E' allora più che mai opportuno, per tracciarne i caratteri e le linee di tendenza, utilizzare un approccio problematico, oltre che descrittivo.

Nelle considerazioni che seguono si tratterà di "comunicazione" nella sua particolare accezione di attività che è al servizio del principio di pubblicità dell'agire istituzionale, in relazione ad un ambito comune e condiviso che dovrebbe appunto essere quello pubblico. E se ne tratterà dal punto di vista della scienza giuridica e della pratica amministrativa, pur nella consapevolezza che tali temi sono oggetto di interesse per molte altre scienze (la sociologia, l'economia, la politologia, la linguistica, la scienza dell'organizzazione, la psicologia sociale) e che - in questa ottica interdisciplinare - "teoria e tecnica della comunicazione pubblica" è da più di qualche anno materia impartita nei corsi universitari.

Certamente, la realtà delle istituzioni pubbliche non è solo quella delle norme e procedure che esse rispettano o pretendono di far rispettare. Non si esaurisce cioè nella ripetizione di comportamenti regolari e formalizzati, ma è "costituita anche da sistemi simbolici fatti di riti, di figure e linguaggi ? non meno stringenti sol perché spesso impliciti ? entro i quali regole e pratiche acquistano visibilità, prestigio, possibilità di essere comunicate e forza disciplinante" (MAZZACANE, (a cura di), I linguaggi delle istituzioni. Napoli, 2001, 8).

Tuttavia, il giurista è chiamato a dare il suo contributo, individuando e descrivendo gli istituti e i fenomeni, interpretando il perché del loro nascere, osservando e valutando criticamente le modalità della loro applicazione.

E', come si vede, una questione di metodo nello studio del diritto.
Perché al diritto si deve guardare non solo "come ad una struttura logica di concetti, ma come ad un fenomeno, ed il più significativo, della vita associata, intimamente legato, nel suo sorgere, nel suo divenire, nel suo perire, all'evoluzione ed alla decadenza della sua matrice sociale" (MARTINES, 1957, 5).

Del resto la parola stessa "comunicazione" ? come ad esempio anche la parola "politica", che è richiamata più volte dagli altri autori di questo volume - sono termini che riportano a nozioni non eminentemente giuridiche.

Di qui il problema di chi, a partire dagli anni ottanta, aveva deciso di studiare un argomento "nuovo", almeno nella sua espressione terminologica (VIGNUDELLI, Comunicazione moderna: novus ordo saeculorum?

Le attività informative del soggetto pubblico, in UMUS Rivista bimestrale sull'organizzazione della cultura nelle istituzioni pubbliche, 1986 e Il diritto della Sibilla, informarsi o essere informati?, Rimini, 1993, spec. 227 s.; MARSOCCI, Il valore della comunicazione e le nuove regole, in Democrazia e diritto, 3-4, 1990; ARENA, la comunicazione di interesse generale, Bologna, 1995).

Elemento quest'ultimo affatto trascurabile, se si considera che il linguaggio di cui si servono le istituzioni è intimamente connesso con la loro propria legittimazione. L'uso perpetuato di un determinato codice linguistico tende, infatti, a garantire la continuità delle organizzazioni e le mette al riparo da trasformazioni improvvise e non desiderate.

Non a caso, le lente ? ma tutto sommato costanti quanto inevitabili ? trasformazioni dell'amministrazione italiana soprattutto a partire dagli anni ottanta hanno modificato la nozione stesa, ma anche la terminologia che riguarda l'apparato pubblico, accentuandone il carattere pluralista (oggi si parla di amministrazioni e non più di amministrazione), colloquiale e "aperto", teso a garantire e a soddisfare i diritti e gli interessi dei propri interlocutori.

A mio avviso, il nesso ? il nesso squisitamente giuridico ? tra i due termini comunicazione e diritto è la nozione di pubblicità. Non a caso, Niklas Luhmann è tra gli autori più richiamati da chi si occupa di tali temi, proprio in quanto definisce il diritto come un sistema della comunicazione sociale e la società stessa non come la somma dei fatti sociali o degli uomini, ma come il sistema universale della comunicazione (Ausdifferenzierung des Rechts. Beiträge zur Rechtssoziologie und Rechtstheorie (1981), tr. it. La differenziazione del diritto, Il Mulino, 1990, 19)

Il diritto, infatti, ha bisogno di pubblicità, in quanto per imporre regole in modo efficace è necessario almeno portarle concretamente a conoscenza dei destinatari. La "capacità" dell'atto normativo o dell'atto giurisdizionale di rendersi accettabili, o del provvedimento amministrativo di essere efficace per la risoluzione dei problemi concreti, deve, tuttavia essere commisurata anche ad un altro parametro, quello dell'effettività. La capacità cioè di modificare la realtà sociale.

Dal punto di vista opposto, lo Stato (le istituzioni) ha bisogno di venire a sapere, di conoscere i comportamenti dei privati per accertarne la rispondenza alle regole. Il diritto insomma esiste solo in quanto espressione pubblica del potere. Se poi il potere è democratico, la pubblicità è funzionale oltre che alla sua legittimazione, al controllo esercitato dei consociati e all'espressione del consenso.
Operando una prima approssimazione, per comunicazione pubblica innanzitutto è da intendersi l'attività tesa alla circolazione delle informazioni (delle conoscenze) in pubblico.

Da una prospettiva giuridica, lo studio di tale attività aiuta a comprendere l'evoluzione, almeno, della forma di Stato di diritto, che nasce proprio quando si rivendicano visibilità e notorietà delle azioni dei poteri pubblici (e non solo), ossia quando si teorizza che ciò che può interessare la collettività e ciascun individuo che senta di appartenervi, o che è fatto per conto e in rappresentanza di questa debba avvenire in pubblico.

In particolare, la circolazione delle conoscenze è ormai valutata non più solo come il presupposto della formazione della volontà delle pubbliche autorità, ma come un obiettivo da perseguire, formalmente e informalmente, per sostenere il modello di democrazia pluralista affermatosi in Europa nel dopoguerra. Riflettere sull'agire "in pubblico" delle istituzioni direttamente o indirettamente rappresentative risulta indispensabile perché permangano e si rafforzino le garanzie che caratterizzano storicamente tali forme di Stato.

Tale punto di vista è poi da privilegiare per mantenere viva (per chi sia interessato a farlo) la distinzione tra poteri istituzionali e "poteri" privati ? nel senso di "forze", economiche, ma anche politiche, collettive o individuali ? e perché l'esercizio dei diritti civili e politici - nelle diverse forme di partecipazione singola e associata - continui ad avere senso, anche nelle modificate forme che le tecnologie hanno permesso di fare emergere.

Tuttavia, è noto che solo in tempi davvero recenti l'ordinamento italiano ha sostituito con quello di pubblicità il principio di segretezza, che in quanto eccezione continua ad essere presente, ma non può più prevalere nel comportamento e negli atti degli enti, organi ed uffici pubblici. La disciplina della pretesa di acquisire tutte le notizie in mano pubblica non coperte da segreto deriva quindi, ormai a parere unanime della dottrina, dal complesso delle norme costituzionali relative al rapporto tra cittadini e Stato o meglio dalla configurazione del rapporto autorità-libertà nell'ordinamento democratico.

Però, mentre secondo una prima opinione l'attività di ricerca e di acquisizione di notizie costituisce la concretizzazione di un vero principio costituzionale, e dunque si deve parlare di un diritto soggettivo immediatamente esercitabile e direttamente tutelato, altri ritengono ancora oggi che si possa prefigurare, in attuazione del principio (direttivo per il legislatore) di trasparenza, solo un apparato istituzionale tendenzialmente aperto, nelle varie fasi deliberative, alla conoscenza da parte dei cittadini.

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2. All'origine dei recenti studi sul tema

Il rinnovato interesse a descrivere criticamente il fenomeno pubblicitario ha spinto alcuni studiosi, durante gli anni ottanta, a riprendere un ragionamento ?per la verità mai del tutto interrotto ? sul perché la lettura della Costituzione e della legislazione in ambito pubblicistico offrivano pochi punti certi di riferimento ad un interprete che intendesse collegare tra loro "quel complesso di meccanismi predisposti al fine di rendere possibile, abbastanza agevolmente e con sufficiente grado di certezza, la conoscenza di atti o eventi produttivi di conseguenze giuridiche a chiunque ne abbia desiderio" (PUGLIATTI, La trascrizione. La pubblicità in generale, in Trattato Cicu-Messineo, XVI, I, 1°, Milano 1957, 195).

Richiamare l'attenzione sul binomio conoscenza (meglio circolazione delle conoscenze)-democrazia appare quasi scontato; tuttavia, in uno Stato che si proclami democratico, ha valore il modo in cui effettivamente avviene la comunicazione tra l'apparato pubblico, gli individui e le parti sociali.

Ancora oggi, chi si accosti a questi temi a partire dallo studio dei dati forniti dall'ordinamento positivo non può non constatare che l'obiettivo di disciplinare unitariamente tali fenomeni è lontano quanto inutile da perseguire, tanti sono i risvolti applicativi di un fenomeno così articolato. Ciò nonostante, i continui spunti offerti dalla modificazione della realtà, oltre che dall'ordinamento giuridico, spingono ad una riflessione ed anche ad una presa di posizione sui vantaggi e sui limiti attuali del "principio" di pubblicità, come fonte particolare di conoscenza, e portano ad indagare sulle attività che tendono a procurarsi le informazioni e a farle circolare.

Ci si chiede poi il perché di tanta titubanza nel mettere a nudo, analizzare la pubblicità, la circolazione delle conoscenze, i suoi metodi ed i suoi limiti.
La questione per dirla con Hans Kelsen è che "il processo del potere non è molto diverso da quello della conoscenza, attraverso il quale il soggetto cerca di dominare il suo oggetto portando un certo ordine nel caos delle percezioni sensoriali" (Foundation of democracy (1955-56), tr. it. I fondamenti della democrazia, in La democrazia, Bologna, 1998, 220). Voglio dire che il "dominio" sulle conoscenze è uno tra i più significativi elementi costitutivi del potere e del suo esercizio.

Tentare un'analisi su questi argomenti conduce inevitabilmente ad interessarsi alla sfera del potere, ma anche in generale a quella della politica. Il potere si conquista e si mantiene, si gestisce con l'uso sapiente e ? come dire ? non generoso della risorsa informazione (conoscenza).

Gli studi sulla nascita e sullo sviluppo dell'opinione pubblica ? che in sé è la valutazione critica dell'autorità ? dimostrano che già nel corso dell'800 il pensiero liberale aveva la consapevolezza del fatto che, se mal indirizzata e gestita dagli stessi apparati dello Stato cui mira a contrapporsi, da strumento contrapposto al potere essa ne diviene ingranaggio.

Questo accade in presenza di un atteggiamento autoreferenziale dell'autorità, che ritiene scontato e dovuto il consenso non preoccupandosi di fondare la propria attività su un principio di legittimità sostanziale, ma assumendo come dato di fatto il principio della piena obbedienza politica. E' accaduto in passato e nulla prova che progressivamente e inesorabilmente le comunità passate da un modello di "governo" autoritario passino stabilmente ad un modello relazionale e partecipato.

Perciò è oltremodo importante ricordare e difendere il contenuto della nostra Costituzione quando dispone che il pluralismo si realizzi nella ragionevole cons
iderazione delle differenze, in applicazione del principio esplicito dell'eguaglianza sostanziale e attraverso la predisposizione delle garanzie, anche non giurisdizionali, delle posizioni giuridiche soggettive, individuali e collettive.

Quella della comunicazione pubblica non è evidentemente questione che interessi solo politologi o sociologi è questione che interessa i giuristi e direi i costituzionalisti in particolare. La pubblicità in tutti i risvolti prima citati è, infatti, un principio "politico" che fonda e caratterizza il costituzionalismo moderno, in quanto teoria giuridica dei limiti al potere politico.

Emerge così allora uno degli argomenti correnti nella discussione sul senso attuale della democrazia: quello dell'accesso alle informazioni, ma soprattutto alle informazioni che servono, che possono essere efficacemente utilizzate da ognuno, che permettano ad ognuno di vedere garantite e potenziate le proprie posizioni giuridiche soggettive.

La riflessione sul valore da dare al capitale di conoscenze collettive e di informazioni accumulate e alla loro circolazione ? soprattutto nell'epoca definita della globalizzazione ? comprende la riflessione sul disvalore della non conoscenza e, dunque, del potere di determinare la disparità di accesso ad essa, con evidente perdita di senso del principio dell'uguaglianza sostanziale.

Questo dato di fatto genera rischi e vantaggi e, comunque, induce a spostare l'attenzione (o meglio a cambiare punto di vista) su molti temi.

La comunicazione, come fattore decisivo per il mantenimento della democrazia sostanziale, riaffiora come tema centrale, insieme ai suoi presunti paradossi.
Il modello comunicativo ossia l'agire orientato all'intesa o quanto meno alla comprensione rispetto all'altro da sé ? applicato in particolare da filosofi e sociologi ai processi democratici ?, privilegiando la valorizzazione dell'individualità soggettiva e dei suo bisogni, può avere un'influenza positiva anche sulla dottrina giuridica?

In realtà questo modello permea già le funzioni pubbliche. Si pensi a quella giurisdizionale, con riferimento all'oralità e pubblicità dei processi e alla motivazione della sentenza. Le decisioni dei giudici (e oggi i provvedimenti amministrativi), al contrario di quelle "arbitrarie" degli organi politici necessitano di motivazione e di argomentazione non solo per essere portate a conoscenza degli interessati e del pubblico, ma per consentire loro l'assenso o la critica (in particolare, l'opposizione). Molto più delicato sarebbe il caso della introduzione della motivazione dei provvedimenti legislativi.

Mentre effettivamente la concezione non più solo informativa ma comunicativa dei rapporti tra amministratori ed amministrati ha ? dalla fine degli anni 80 ? innovato profondamente la funzione esecutiva, fino a privilegiare le forme dell'accordo a quelle dei provvedimenti autoritativi (si pensi al principio di sussidiarietà orizzontale).

Altrettanto delicato è il tema della comunicazione se applicata all'attività di indirizzo politico.

Se è necessario subito ricordare che la visibilità o pubblicità dell'azione di governo non assicurano in sé un risultato democratico, è bene sottolineare anche che il dato della assoluta prevalenza del segreto rispetto a tale azione è prova di per sé sufficiente a far rinvenire i caratteri dell'autoritarismo.
La pubblicità senza pluralismo e criticità non basta a supportare la democrazia e si presta, anzi, nella forma della "propaganda", alle sue degenerazioni.

Ecco perché occorre valutare su tutti, in particolare, l'elemento del consenso, della sua formazione e delle sue trasformazioni.

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3. L'evoluzione dell'attività di comunicazione istituzionale in Italia

Evocare implicitamente la cd. "sindrome del Minculpop" ossia la paura di riprodurre l'esperienza del Ministero della cultura popolare della dittatura fascista, mi permette di introdurre un altro argomento: le cause del ritardo italiano nel praticare la comunicazione istituzionale.

Cercherò di ricostruire, con uno sforzo massimo di semplificazione ? dunque con maggiore possibilità di errore ? una sorta di cronistoria degli eventi che hanno portato l'Italia a considerare la comunicazione una delle attività doverose dell'agire istituzionale. Solo dopo un processo assai lungo, niente affatto lineare e privo d'ostacoli, si è arrivati al riconoscimento della nozione di circolazione delle informazioni in mano pubblica come cardine e nutrimento della democrazia contemporanea.

Democrazia finalmente liberata dalla paura di quello che Umberto Terracini definì come il "complesso del tiranno" e cioè la rinuncia a far sentire la voce dello Stato nel timore di ridurre il pluralismo dell'informazione e la libertà delle voci.

Farò in pratica dei cenni sull'evoluzione e sulle attuali prospettive della comunicazione pubblica nel nostro Paese, procedendo grosso modo per decenni.

Del periodo costituente e della fase della prima attuazione della Carta costituzionale, è opportuno mettere in luce, accanto alla già citata volontà di non accentrare nelle mani del governo competenze che in qualunque modo potessero evocare la paura di veder manipolato o condizionato il consenso sulle nuove istituzioni democratiche, l'attesa che le principali organizzazioni stabili e di massa ? partiti e sindacati ? avrebbero svolto il loro ruolo di garanzia del pluralismo politico e sociale, attraverso il dialogo e il coinvolgimento popolare.

Tuttavia, la consapevolezza che "parlare" dello Stato repubblicano e delle sue istituzioni democratiche fosse una necessità era certamente ben presente già durante la presidenza De Gasperi, come testimonia un breve passo della presentazione del primo numero di "Documenti di Vita Italiana", che ancora oggi è la rivista ufficiale della Presidenza del Consiglio dei ministri. De Gasperi (1951, 3) scriveva: "Lo Stato" (in un precedente passo si fa riferimento direttamente al Governo) "prima ancora del diritto ha il dovere d'informare i suoi cittadini sugli orientamenti della sua attività e sui dati delle sue realizzazioni...è inconcepibile che lo Stato non sia fornito di strumenti di comunicazione con la pubblica opinione". In un passo successivo è poi evidente il riferimento alla necessità di adeguare le strutture istituzionali a tale esigenza; nell'auspicare "obiettività e precisione" dell'informazione viene infatti richiamato implicitamente il tema della valorizzazione del profilo professionale e, ad un tempo, la promessa di garanzia delle nuove regole democratiche.

Ma "governare", nella pienezza delle garanzie democratiche, il trasferimento delle informazioni e dei dati in mano pubblica costituiva evidentemente una sfida troppo impegnativa per le istituzioni del dopoguerra.

Solo durante gli anni '70, con la piena attuazione di parti rilevantissime della Carta costituzionale (si pensi alla attivazione degli organi regionali, al primo trasferimento delle funzioni amministrative, agli istituti di partecipazione popolare) ? nei fatti ? viene a modificarsi il rapporto tra cittadini e istituzioni, in una società già profondamente mutata.

Il "Rapporto Giannini" del 1979, nel quale si teorizzava che per modernizzare l'apparato burocratico italiano l'informazione deve essere vista come uno strumento indispensabile per aprire l'amministrazione al cittadino, testimonia che anche la cultura giuridica si preparava ad essere più sensibile a queste trasformazioni. Così anche, i primi "scampoli" di normativa si scrivono proprio durante questo decennio, in particolare negli statuti regionali, testi in cui era affermata l'esistenza del diritto ad essere informati sull'attività degli organi territoriali.

Una nuova fase della lenta affermazione dell'attività di informazione e comunicazione pubblica inizia alla metà degli anni 80, quando parlano al cittadino non solo più la politica e le sue organizzazioni, ma direttamente le istituzioni. C'è, infatti, chi colloca in questo periodo "la fuoriuscita dalla sindrome del Minculpop", quando cioè le istituzioni si sono riappropriate della capacità di esternare soprattutto riguardo al bisogno di sviluppo ed affermazione dell'identità nazionale.

A stimolare, in una sorta di competizione in qualche modo virtuosa, soprattutto Ministeri ed enti locali nell'intraprendere campagne di comunicazione sui mezzi di massa trattando i grandi temi sociali e civili, sono altri attori della comunicazione pubblica (in particolare, appunto denominata sociale): le associazioni no profit.

Ma è solo a partire dal 1988, con la legge n. 400 di riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri che si avvia formalmente il dibattito istituzionale e politico sul tema della comunicazione pubblica e si impostano le condizioni per la riorganizzazione e la rilegittimazione del sistema di informazione e documentazione delle strutture di governo.

Anche la legge sull'editoria, più tardi quella sulla radiotelevisione e le loro successive modifiche contribuiscono a definire il nuovo quadro normativo. Si pensi agli obblighi di destinare appositi capitoli di bilancio all'acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione, finalizzati alla pubblicità sui programmi, le decisioni e le attività delle pubbliche amministrazioni.

Una tappa fondamentale perché si affermasse, anche da un punto di vista strettamente giuridico, il dovere delle istituzioni di conformare il proprio comportamento ad un principio generale di pubblicità, concretamente prevalente su quello di segretezza è segnata senz'altro dall'anno 1990, data in cui sono state approvate la legge di riordino delle autonomie locali e la legge di disciplina del procedimento amministrativo.

Da allora ad oggi si può dire che la disciplina del "bene informazione pubblica" e delle relative modalità di acquisizione, conservazione, trattamento, diffusione e controllo sono uno dei nodi centrali delle principali leggi di riforma dell'apparato pubblico. I giuristi, gli amministrativisti in particolare, parlano di svolta normativa ed auspicano la costruzione ed il potenziamento di precise garanzie dei cittadini nei confronti della amministrazione "colloquiale" o "condivisa".

L'introduzione del principio di pubblicità (una delle maggiori innovazioni introdotte dalla legge n. 241 del 1990) accanto a quello del giusto procedimento rende giuridicamente necessari una serie di comportamenti che producano la circolazione di dati e di conoscenze verso l'esterno dell'apparato, non meno che al suo interno. Nel consentire e prevedere lo scambio di informazioni, opinioni e dati, il legislatore ha imposto alle amministrazioni un obbligo non solo a ricevere tali fonti di conoscenza, ma a tenerne conto ai fini delle proprie determinazioni e, dunque, a svolgere un'attività tesa alla "comunicazione" con i privati.
Il procedimento amministrativo può essere considerato come momento della trasformazione in atto non solo del potere pubblico, ma dell'attività conoscitiva e volitiva dei partecipanti la procedura. In seno ad esso, la circolazione dei dati e delle conoscenze si realizza attraverso: l'acquisizione delle informazioni; la loro distribuzione o rilascio; la valutazione ed utilizzazione delle conoscenze acquisite.

Tali attività sono, dunque, dirette all'assunzione della decisione finale nell'ambito del procedimento ed ad ogni altra decisione che incida sull'organizzazione amministrativa e sul suo funzionamento.

Il principio di pubblicità impone, insomma alle p.a. di rendere disponibili tutte le informazioni non legittimamente coperte da segreto sia consentendone l'accesso ai privati su richiesta motivata (si tratta di destinatari individuati che esercitano il diritto all'informazione amministrativa, la partecipazione, il diritto di accesso all'interno del procedimento, per conoscere atti o fatti potenzialmente lesivi della propria sfera giuridica, al fine di esercitare efficacemente il diritto alla difesa), sia predisponendo idonee forme di pubblicazione e divulgazione (si tratta di destinatari non individuabili che non hanno bisogno di ottenere previamente un atto abilitativo per accedere - in senso generale - ad elementi di conoscenza, valutazione e controllo del comportamento amministrativo.

Gli anni '90 sono anche gli anni in cui più forte è l'attenzione al processo di integrazione comunitaria. La connessa necessità di risanamento finanziario e la crescita della pressione fiscale determinano tagli alle spese pubbliche (come è noto a quelle destinate allo stato sociale, in particolare), con sensibili ripercussioni sul sistema economico e produttivo.

Dalla pretesa ad avere pubbliche amministrazioni più efficienti e orientate all'efficace soddisfazione dei cittadini-utenti delle prestazioni pubbliche, anche tramite un rapporto diretto e non più mediato dai mezzi di informazione, nasce la necessità di riformare l'amministrazione a partire dall'organizzazione interna dei suoi uffici (si pensi all'istituzione degli Uffici per le Relazioni con il pubblico ? le cui competenze accanto a quelle degli uffici stampa sono state da ultimo riscritte nella legge n. 150 del 2000 ?, ma anche ai nuclei di valutazione e di controllo ed in generale al monitoraggio dell'attività amministrativa).

La crisi e le conseguenti profonde trasformazioni dei partiti e della loro tradizionale forma organizzativa portano i privati a cercare i propri interlocutori direttamente nelle strutture burocratiche pubbliche, ma anche a richiedere maggiore visibilità ai rappresentanti eletti direttamente alle cariche di sindaco, presidente di provincia e di regione.

Il consenso elettorale assume un carattere più pragmatico e "opportunistico" e le campagne mirano a premiare la personalizzazione della politica. Inoltre, il confronto spesso aspro tra i diversi livelli territoriali di rappresentanza spinge da un lato ad istituire nuove istituzioni di concertazione (si pensi al sistema delle conferenze), ma anche a potenziare le "lobby civiche" ed a immaginare forme nuove di comunicazione sociale.

Nella fase attuale uno dei dati di maggior evidenza è l'acuirsi della crisi (o il declino) degli Stati nazionali. Più forte si fa la consapevolezza che sui temi della comunicazione istituzionale è necessario ragionare in un ottica comunitaria ed internazionale, più è la stessa identità pubblica ad apparire con contorni indefiniti, proprio quando urgente si fa il bisogno di costruire su questa base un opinione pubblica europea, necessaria ad avvicinare il livello di efficienza delle burocrazie nazionali.

In ambito europeo, sono stati innanzitutto gli Stati nazionali a dimostrarsi interessati al dibattito sui temi dell'informazione e della comunicazione pubblica.

Oggi, per molti versi, esso procede parallelamente e si alimenta scambievolmente nei singoli Paesi e nell'Unione europea. Occorre, tuttavia, sottolineare che l'attività di comunicazione istituzionale, in Italia come in Europa, non si esaurisce certo con le pur importanti politiche a sostegno dell'uso delle nuove tecnologie nei rapporti tra cittadini ed istituzioni (si pensi ai progetti di e-government).

Lo spazio pubblico europeo e l'opinione pubblica europea si andrebbero, così, definendo attraverso il dibattito sulle odierne questioni di fondo dell'Unione: la sua Costituzione e l'allargamento ai nuovi Stati membri. Le istituzioni comunitarie avrebbero l'"onere" di comunicare con le parti sociali ed i cittadini in genere tenendo però, in qualche modo, conto degli esiti della discussione pubblica.

L'attualità, del resto, dimostra che quella che vorremmo fosse considerabile come opinione pubblica europea si stia formando attorno ai temi più sentiti delle politiche sociali (nei settori della salute, dell'ambiente, dell'occupazione) e attorno alla rivendicazione di sostanziali garanzie nell'esercizio e nella tutela dei connessi diritti di prestazione. L'esigenza di una comune "cittadinanza" sociale sembra, nei fatti, prevalere su quella politica.

Altro tema dominante è, infine, quello dell'utilizzazione diffusa delle nuove e nuovissime tecnologie, che più di altri fattori spinge alla riorganizzazione degli uffici e alla riqualificazione del personale pubblico (si pensi all'utilizzo dei portali e siti web).

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4. Considerazioni conclusive

In questo lungo tempo, ma soprattutto come si è visto a partire dagli anni 80', la riflessione dei giuristi è stata tesa a definire il fenomeno ? proprio a partire dall'analisi delle necessarie distinzioni tra la comunicazione pubblica e la comunicazione commerciale, ma anche dalle suggestioni che tale confronto propone ? e a individuare, anche stimolandone la creazione, il diritto positivo di riferimento.

Lo Stato è il maggior contenitore e fruitore di informazioni. La loro circolazione permette, oltre alla loro funzionalità, l'esistenza stessa degli apparati. E', in definitiva uno dei connotati di ogni organizzazione e della sua attività.

Tuttavia, si è arrivati a giustificare l'esistenza della attività di comunicazione istituzionale solo nel momento in cui se ne sono indicate le peculiarità, ossia individuando la missione peculiare di tale attività, al servizio e nell'ambito del settore pubblico. La nascita di particolari pretese e di specifici diritti (informazione, accesso, partecipazione, riservatezza) attribuisce conseguenze giuridiche alla circolazione dei dati, e sottopone a precise responsabilità e conseguenti controlli i soggetti coinvolti.

L'attività di comunicazione istituzionale oggi presenta un contenuto assai più chiaramente definito: tutti quegli atti o comportamenti con cui l'autorità pubblica si esprime verso l'esterno, che implicano e che spingono verso la riorganizzazione degli apparati, che consentono la creazione di nuove professionalità e dunque di nuovi centri e metodologie di formazione, che permettono di misurare e valutare sotto una nuova luce il processo di formazione dell'opinione pubblica e l'impatto delle nuove tecnologie dell'informazione sull'organizzazione del lavoro in ambito pubblico.

La comunicazione nelle organizzazioni pubbliche, su tutto ciò che attiene all'azione, agli scopi, alla produzione normativa, è insomma ritenuta un'attività specifica (alcuni preferiscono considerarla una vera e propria nuova "funzione") ed autonoma, proprio in quanto è ormai possibile individuare ? nel quadro di un'apposita disciplina ? procedure, mezzi e professioni dedicate.

Entrare in contatto e dialogare, all'esterno come all'interno dell'apparato, non è solo un'opportunità per "vendersi" meglio o mantenere la posizione acquisita (come per il settore privato), ma è una necessità per legittimare le istituzioni e garantire la democrazia pluralistica. E', insomma, uno strumento per perseguire gli obiettivi pur sempre stabiliti dalla legge.

In conclusione, il fenomeno da una prospettiva giuridica non solo esiste, ma ha notevoli quanto interessanti conseguenze.

Il legislatore ha introdotto, seppure in ritardo, le norme di riferimento, dunque si sono andate consolidando posizioni giuridiche di attesa (diritti e interessi e doveri e obblighi), oggetto di possibili contenziosi. Agli amministratori sono oggi riservate competenze peculiari, riguardo ad un'attività oggi definita come strategica, a fronte di professionalità specifiche (comunicatori pubblici e addetti stampa), che università ed enti di ricerca sono chiamate a formare.

E' allora doveroso osservare queste realtà ma anche interpretarle e contribuire alla definizione dei "binari" in cui operano tutti questi attori. Il ruolo che, in definitiva, appartiene al giurista.

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Ultimo aggiornamento: 29/11/05