Tema: Comunicazione pubblica

Software sociale tra giornalismo e comunicazione pubblica

Le nuove forme di informazione e comunicazione in rete

di Mattia Miani

Una prima versione di questo articolo è apparsa su Punto.exe - anno VI - numero 9 (ndr)

 
INDICE
 
Premessa

1.  Blog

2.  RSS (Really Simple Syndacation) 

3.  Podcasting

4.  Wiki

5.  Le comunità on line
 


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 Premessa
 
Nel 1998 gli studiosi della Carnegie Mellon University dell’HomeNet Study capitanati da Robert Kraut potevano formulare il famoso paradosso di Internet: stando ai loro dati, l’uso di Internet causava un peggioramento del benessere sociale e psicologico degli individui (Kraut et al. 1998). Un paradosso, a detta degli studiosi, perché da un mezzo di comunicazione in grado di mettere in collegamento le persone, anche a distanza, ci si sarebbe aspettato il contrario. In seguito è stato dimostrato come i dati usati dagli studiosi potessero essere interpretati anche in altro modo: il peggioramento poteva essere fatto dipendere in larga misura dallo stress associato all’apprendimento dell’uso del mezzo (LaRose 2001). Lo stesso gruppo di studiosi della Carnegie Mellon più di recente è ritornato sui suoi passi e replicando lo studio a diversi anni di distanza è giunto a conclusioni diametralmente opposte (Kraut et al. 2002).

Il dibattito sul “paradosso di Internet”, le sue soluzioni e i suoi sviluppi, testimonia un punto molto importante: nel breve lasso di tempo di una decade, Internet è cambiata profondamente. Se gli studiosi della Carnegie Mellon spiegavano le loro scoperte della prima metà degli anni Novanta accusando la mancanza di tecnologie in grado di promuovere legami forti tra gli utenti, oggi la situazione è decisamente diversa.
 
La vera rivoluzione di Internet è stata silenziosa e fatta di tanti frammenti di tecnologia che oggi, tutti insieme, consentono alla rete di essere uno strumento promotore di relazioni sociali sempre più complesse e articolate. Possiamo riferirci a queste tecnologie e pratiche con il termine di software sociale (social software). Il software sociale pone una serie di sfide per il giornalismo e la comunicazione pubblica on line: richiede, infatti, il più delle volte una profonda ridefinizione del ruolo dell’intermediazione giornalistica.
 
Scopo di questo saggio è esplorare il mondo del software sociale per comprendere il suo potenziale innovativo per il giornalismo on line e la comunicazione pubblica. All’interno di questa categoria vedremo tecnologie anche molto diverse fra loro (dalla comunità di MeetUp ai Blog, dai sistemi wiki alle news RSS) che hanno in comune una serie di caratteristiche: a) promuovono la creazione di legami tra gli utenti, b) sono altamente decentralizzate, c) il loro funzionamento è basato su norme sociali emergenti, d) sono altamente flessibili.
 
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 1.  Blog

Blog è oggi un termine estremamente popolare on line. I blog sono solitamente definiti come "diari on line". In effetti ne hanno tutta l’apparenza: i contenuti sono registrati in rigoroso ordine cronologico, l’emittente è di solito un individuo, le notizie pubblicate sono brevi annotazioni, spesso di tono personale (ma anche ritagli di notizie tratte da altri siti o commenti). Rebecca Blood (2000), autrice di una storia dei primi blog e di una manuale per la loro creazione, li definisce come “siti basati sui link… un misto in link, commenti, pensieri e saggi personali”. Tuttavia questa definizione coglie solo l’aspetto più superficiale dei blog.
 
In effetti, diari on line sono esistiti da sempre. Perfino il primo sito web della storia, quello del Cern di Ginevra gestito dall’inventore del linguaggio ipertestuale per la pubblicazione di documenti on line Tim Barners-Lee, potrebbe essere definito un blog  (1).  Il termine blog è stato introdotto da Jorn Barger, curatore di un sito personale, nel 1997 per riferirsi alle pagine che gestiva.
 
Il termine nasce dalla contrazione di web e log: diario on line appunto. Fu in particolare Brigitte Eaton ad associare indissolubilmente l’idea di blog con quella di una pubblicazione di annotazioni organizzate cronologicamente: la Eaton pubblicò all’inizio del 1999 un portale, Eatonweb Portal, nel quale venivano registrati blog che rispettassero il requisito dell’organizzazione cronologica dei contenuti.
 
A quel tempo c’erano probabilmente non più di una trentina di siti che si riconoscevano dietro questa definizione (Blood 2000). Spesso i blogger – i curatori di un blog – non solo pubblicavano le proprie annotazioni on line, ma seguivano anche avidamente quelle dei colleghi, segnalando nelle proprie pagine web gli altri siti che visitavano (Blood 2000). Sin dall’inizio, dunque, lo strumento promosse non solo la condivisione di informazioni, ma anche la messa in relazione di persone.

Proprio nel 1999 il mondo dei blog registrò un salto di qualità grazie all’introduzione di servizi on line che consentivano di creare e tenere aggiornato un diario on line con un sistema accessibile anche a persone senza competenze tecniche. Tali servizi si basavano infatti su sistemi di content management, simili a quelli usati oggi per la gestione di siti editoriali, in cui per aggiornare i contenuti organizzati in una gabbia grafica predefinita era sufficiente compilare dei moduli on line. Prima di allora un blog era sostanzialmente la prerogativa di utenti esperti, dotati delle competenze tecniche necessarie per creare un sito.
 
 A partire dall’introduzione di questi servizi il formato del blog divenne di dominio pubblico. Nel luglio 1999 fu lanciato il primo di questi sistemi, Pitas, e presto i blog attivi divennero centinaia. I servizi più noti e ancora oggi diffusi seguirono di lì a poco: in Agosto Pyra mise on line Blogger, Dave Winer introdusse il sistema “Edit This Page” e Jeff A. Campbell lanciò Velocinews. Tutti questi servizi erano rigorosamente gratuiti (Blood 2000).

Questa semplice rassegna dovrebbe suggerire che i blog sono molto di più che semplici diari on line. Essi hanno altre caratteristiche distintive. In primo luogo sono in genere associati ad individui, non organizzazioni. Pertanto sono espressione di informazione estremamente personalizzata proveniente da singoli individui che non operano all’interno delle classiche routine delle aziende editoriali. Si discute se anche i giornalisti professionisti debbano tenere blog e, qualora lo facciano, come considerare questi prodotti.
 
Indubbiamente, la natura immediata dell’informazione fornita dai blog porta molti ad affermare che essi rappresentano uno strumento utile per allargare il pluralismo dell’informazione e dare voce a più soggetti. Queste affermazioni vanno lette alla luce delle considerazioni che seguono.

Una seconda proprietà distintiva che emerge dalla storia dello sviluppo del web, è la sua ipertestualità. I link sono una componente fondamentale delle annotazioni dei blogger. Spesso è proprio un sito originale o una notizia letta on line a stimolare la pubblicazione di una nuova annotazione. Come conseguenza di questo, spesso le riflessioni contengono citazioni tratte da altri siti (facilitate dal semplice copia e incolla) e costituiscono microtesti in un certo modo non autonomi, ma sempre collegati alle pagine a cui rimandano.
 
 L’importanza della dimensione ipertestuale dei blog è dimostrata tra le altre cose dal fatto che l’uso dei link su questi siti può perfino influenzare il posizionamento di una pagina su Google. Il motore di ricerca tiene infatti conto non solo dei contenuti di una pagina, ma anche dei link che essa riceve per determinarne l’indicizzazione in rapporto alle parole chiave usate nella ricerca (Miani 2004).
 
Un’importante conseguenza di questa situazione è che i blog svolgono un’importante funzione di filtraggio. I contenuti on line sono infatti derivanti dalle navigazioni dell’autore (o dagli autori se il blog è gestito da più persone). 

Una terza proprietà che emerge dai blog è il dialogismo e la dimensione di “community” che li accompagna. Non solo i blog sono calati in una fitta trama ipertestuale di collegamenti, ma stimolano esplicitamente questa dimensione sollecitando i commenti dei lettori e spesso linkandosi ad altri blog.
 
Oggi, quasi tutti i sistemi di blog contengono la possibilità di accettare i commenti dei lettori sulle singole notizie pubblicate. In questo modo, i contenuti dei blog sono sempre aperti a forme di dialogo tra l’autore delle annotazioni, i suoi lettori e, perché no, perfino le fonti. C’è anche chi ha estremizzato questa situazione. Inventato dagli autori del popolare Hotornot, Yafro blog  < http//:www.yafro.com > permette di uploadare le foto e di inserire nel profilo persone che l’utente ritenga simpatiche sulla base dei loro commenti e del loro modo di presentarsi.
 
Non sarà un caso che uno dei libri più citati dagli autori di blog è Linked, una bella introduzione allo studio delle reti sociali scritta da Albert-László Barabási (2003) (2).

Sono dunque i blog giornalismo? Lo sono nella misura in cui realizzano alcune funzioni tipiche del giornalismo come l’intermediazione e la selezione delle notizie. Tuttavia le similarità si fermano qui. Come prodotti individuali e di tono personale, non sono presenti molte delle caratteristiche del linguaggio giornalistico, per non parlare di quelle organizzative.

Un caso esemplare è rappresentato dal paragone tra i reportage di guerra e i cosiddetti “war blog”, ossia resoconti dal vivo da persone che si trovano in zone di conflitti armati. Il fenomeno ha letteralmente spopolato in occasione della guerra in Iraq del 2003.

Fu il quotidiano britannico The Guardian a portare alla luce il caso di "Where is Raed?", un diario personale tenuto da un anonimo cittadino iracheno, un abitante di Baghdad che aveva voluto raccontare il suo punto di vista sui sei mesi che hanno portato alla guerra tra il suo paese e gli Stati Uniti.
 
L’indirizzo era dear_raed.blogspot.com. L’autore del blog era, stando a quanto si poteva leggere nei messaggi pubblicati, Salam Pax (ovviamente uno pseudonimo), un giovane Iracheno di 29 anni abitante a Baghdad che dichiarava di aver studiato all'estero, dove aveva imparato l'inglese e il tedesco, e di lavorare in una ditta dove realizzava disegni 3D.
 
Per sei mesi Salam Pax tenne un diario giornaliero sulle sue vicende personali e i preparativi per la guerra nella capitale irakena. Da dicembre 2002 all’inizio del conflitto, stando a un contatore, il suo blog avrebbe attratto oltre 150.000 utenti unici. Il blog si interruppe poco dopo l’inizio delle ostilità. In seguito Salam Pax è stato scovato dai reporter di The Guardian e i contenuti del suo blog sono diventati perfino un libro.

Contemporaneamente c’erano i blog dei militari americani, pienamente connessi anche sul teatro delle operazioni (almeno nelle basi…). Prendiamo il caso di < http//:www.lt-smash.us >. Lt. Smash era anch’esso uno pseudonimo: apparentemente un riservista richiamato per l’operazione Iraqi Freedom, che aveva deciso di offrire al mondo un “diario delle sue avventure”. Ci si trovavano diverse scenette “comiche”, messaggi dei famigliari, e un tributo a uno dei militari morti nei primissimi giorni di guerra. Anche questo blog divenne presto famoso, grazie a una menzione sul sito della CNN. In un caso e nell’altro  si pongono ovviamente problemi di validazione.
 
Non c’era nessuna garanzia che Salam Pax e Lt. Smash esistessero davvero. Alla fine Salam Pax fu trovato, Lt Smash no. Molti anzi hanno denunciato la falsità di questo secondo blog segnalando come il sito fosse stato registrato solo dopo l’inizio del conflitto (molto dopo le sue prime notizie on line datate dicembre 2002, data della mobilitazione di Smash). Informazione che si poteva trarre dai dati sul possessore del dominio registrate nel whois dei domini .us < http//:www.whois.us >, da dove si scopriva tra l’altro che l’autore del blog ha fornito come “contact name” Bart Simpson. Del resto, Lt. Smash dichiarava sul suo blog di essere costretto a rimanere anonimo.

Senza nulla togliere all’importanza dello strumento per la navigazione su Internet, la situazione illustrata dai war blog dovrebbe far riflettere. A differenza di quanto avviene nel racconto giornalistico, il rapporto fiduciario tra lettore e autore del blog è di natura personale e non ci sono le garanzie di autenticità e correttezza professionale che dovrebbero essere caratteristica del racconto giornalistico.

In Italia le principali esperienze di giornalismo on line legate ai blog sono il Cannocchiale del Riformista e i blog del sito Repubblica.it. Il primo è un’iniziativa del quotidiano Il Riformista mirante a stimolare il contributo dei suoi lettori. L’iniziativa ha avuto un successo considerevole in termini di utenti e visite.
 
Il Cannocchiale rappresenta però non un vero prodotto editoriale, bensì uno spazio a disposizione degli utenti che, gratuitamente, si sono registrati. Pertanto fra i blog del Cannocchiale si può trovare un po’ di tutto. La Repubblica, sul suo sito, ha scelto una strada diversa. Ha lanciato una serie di blog curati dalle grandi firme del giornale, ciascuno su un tema specifico.
 
In questo caso, il controllo editoriale dello spazio rimane alla testata, che però adottando il formato e il linguaggio dei blog consente alle sue firme di costruire un dialogo più diretto, informale e immediato con i propri lettori. I blog del sito non assomigliano infatti agli articoli pubblicati nelle altre sezioni, ma sono davvero annotazioni e pensieri veloci che spesso chiamano in gioco l’opinione dei lettori.
 
A metà strada si colloca l’iniziativa editoriale di Bea che nel suo Beablog si fa filo conduttore per un giornalismo di denuncia sociale e critica consumeristica, facendo però largo uso dei contributi degli utenti.
Questi esempi, tratti dalla situazione italiana dovrebbero suggerire che se da un punto di vista puramente organizzativo il blog è qualcosa di nettamente diverso da una pubblicazione giornalistica, tuttavia il formato del blog può essere facilmente integrato all’interno di un sito di giornalismo on line.
 
Un caso particolare a cavallo tra giornalismo e blog sono i siti di informazione dei cosiddetti “one man web” (Romagnolo e Sottocorona 1999), iniziative editoriali cioè portate avanti da singoli individui e fortemente associate al loro nome.

Uno degli esempi americani più famosi è il sito di Matt Drudge che legò il suo nome allo scoop per lo scandalo Lewinsky. Ma gli esempi si possono moltiplicare: questo tipo di iniziative editoriali “personali” sono particolarmente diffuse nell’informazione di settore. Romagnolo e Sottocorona (1999) descrivono una di queste pubblicazioni redatta da Randy Cassyngham alla fine degli anni Novanta:
 
“Il suo giornale, infatti, è redatto da una sola persona, lui stesso, ma conta ben 156 mila abbonati. Si tratta di un bollettino che viene inviato tramite posta elettronica in 143 Paesi: una serie d’informazioni curiose, a volte bizzarre, sempre rigorosamente vere. Non a caso la pubblicazione si chiama This is True, Questo è Vero… Fonte principale d’informazione di This is True sono i dispacci delle agenzie stampa reperibili su Internet, in particolare AP, Reuters e France Presse… Contrariamente a quanto fanno quasi tutti gli editori elettronici, il sito Web di This is True non è utilizzato per distribuire informazioni, ma solo per registrare gli abbonamenti, mentre la pubblicazione viene distribuita via e-mail.”

Le pubblicazioni degli one man web comunque differiscono spesso in modo sostanziale rispetto al modelli editoriali dei blog. Le notizie non prendono la forma di semplici annotazioni, ma di veri e propri articoli redatti con tutti i crismi del linguaggio giornalistico. Inoltre fatti, commenti e tono personale sono spesso tenuti sufficientemente distinti. Infine, le caratteristiche di ipertestualità e dialogismo che abbiamo visto come elementi fondanti dei blog sono spesso assenti a favore di un formati più simili a quelli giornalistici.
Tuttavia è interessante notare come non manchino i generi di confine, a dimostrazione che in questo campo ogni categorizzazione è per forza di cose imprecisa.
 
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 2.  RSS  (Really Simple Syndaction)

Internet si caratterizza per essere un medium “pull”, ossia basata sull’idea che l’utente chiami a sé attivamente l’informazione. Tuttavia oggi assistiamo all’introduzione di una particolare tecnologia push su web a cui ci si riferisce con la sigla RSS. L’acronimo sta per Really Simple Syndication o per RDF Site Summary se preferite (ma le varianti abbondando… dipende dalla versione e dai gusti dell’autore).
 
RSS è il nome di un linguaggio basato sull’XML, a sua volta un linguaggio nato per definire altri linguaggi per le comunicazioni on line. In origine, tra il 1997 e il 1999, il formato fu sviluppato da un’azienda, la Userland, e da Netscape per alcune attività editoriali. Il suo successo è però più recente e risale a quando molti servizi di blog hanno cominciato a fornire anche il servizio di RSS per consentire agli utenti di scambiarsi i link ai titoli delle notizie pubblicate sui rispettivi siti. In cosa consiste questo linguaggio?
 
In pratica si tratta di un insieme di specifiche che devono essere pubblicate su una pagina web e che consentono a chiunque di incorporare nel proprio sito i link alle news di un altro utente.

Un’ulteriore svolta è arrivata con l’introduzione sul mercato di programmi in grado di aggregare le news provenienti da una molteplicità di canali RSS. Si tratta di programmi che funzionano ovviamente quando sono collegati alla rete e che consentono all’utente di leggere in un unico spazio news provenienti da siti diversi 3.
 
Sono già tantissimi i siti di news, i blog e anche i siti di politica che mettono a disposizione degli utenti il codice RSS necessario per ricevere in automatico sul proprio lettore le proprie news. Lo standard RSS ha ancora molti problemi, il primo dei quali di non essere uno standard e di non essere completamente aperto, tuttavia sta riscontrando un successo crescente.

La natura dei canali RSS può essere colta appieno se paragonata alle vicende di un’altra tecnologia push, PointCast. PoinCast era una società californiana che aveva brevettato un sistema per raccogliere notizie e informazioni da una pluralità di siti per poi riconfezionarle e spedirle sul desktop dell’utente collegato in rete, attraverso un apposito programma. Il tutto con l’evidente vantaggio per l’utente di non dover navigare da un sito all’altro.
 
In questo consiste la tecnologia “push”, che “spinge” le informazioni verso gli utenti che normalmente sono costretti a cercarle attivamente (“pull”). Bella idea ma che non ha funzionato. Nella sua breve esistenza, terminata nel 2001 con l’acquisizione della società da parte di un Venture Capital per 10 milioni di euro (roba da liquidazione), PointCast ha superato il milione di utenti, operando negli Stati Uniti, in Canada, Giappone, Germania e Gran Bretagna. Intorno al 1997 molti commentatori la indicavano come la killer application di Internet.

Il milione di utenti raggiunto da PointCast non era neppure un numero disprezzabile e fu sufficiente per garantirgli negli anni dell’euforia sufficienti introiti pubblicitari. Tuttavia la crisi del modello di business basato sulla pubblicità segnò le sorti dell’azienda.

Tuttavia c’è una radicale diversità tra RSS e il fallito PointCast che va oltre il contesto congiunturale: lo standard RSS non è legato a un solo fornitore di contenuti, ma può essere utilizzato da tutti. I canali RSS sono sinonimo di un modello decentrato di comunicazione, PoinCast era maggiormente centralizzato.
 
In effetti le tecnologie che premiano maggiormente in rete sono quelle che consentono di creare network complessi, in cui non ci sia un preciso nodo centrale: ciascun utente costruirà le proprie preferenze.
Il futuro della tecnologia sarà determinato dal suo impiego o meno da parte delle grandi imprese editoriali on line.
 
Negli Stati Uniti gli RSS sono già impiegati da The New York Times, ABCNews.com, MSNBC, BBC, ESPN, CNET News.com, Wired News, Salon, Slate, The FeedRoom, IndyMedia, Google News, il Wyoming Tribune-Eagle, lo Spartanburg (South Carolina) Herald-Journal. Senza contare che molti altri siti sono regolarmente “scraped”: anche se non offrono un canale ufficiale, attraverso un’analisi del codice dietro alle pagine che creano, gli utenti più smaliziati possono creare un codice RSS funzionale e magari pubblicarlo on line a disposizione di tutti su qualche directory specializzata come Syndic8.com. Finché il sito non cambia il layout del codice delle pagine il sistema funzionerà e consentirà di scaricare sul proprio aggregatore di news i titoli di pubblicazioni che non adottano ufficialmente il formato, magari con qualche imperfezione nella visualizzazione dato il procedimento di “ingegneria inversa” (per questo viene usato il termine scraping per designare questa operazione).
 
In Italia, con il passaggio di molti siti agli accessi riservati tra il 2003 e il 2004 non ci sono ancora grandi novità. Il formato è proposto dal sito del Cannocchiale per i suoi bloggers.

Gli RSS per la loro natura decentrata e l’utilizzo dei programmi per l’aggregazione delle news rappresentano un settore che potrà essere difficilmente ignorato. Un articolo pubblicato sull’On Line Journalism Review della University of Souther California ha sviluppato questa tesi affermando che i canali RSS possono contribuire a costruire traffico per i siti di news, così come accade con l’uso di altri media push quali le newsletter inviate ai lettori registrati. Kramer (2004), autore dell’articolo, cita il caso del sito del Christian Science Monitor (csmonitor.com) che fu il primo sito di un giornale quotidiano a fare uso di RSS per i suoi utenti. All’inizio, ottobre 2002, gli utenti serviti erano appena 1000. Un anno più tardi erano oltre un milione e entro il primo semestre del 2004 erano diventati quasi 3 milioni e mezzo.

Gli RSS devono essere visti come una nuova modalità di consumo delle news on line che finalmente realizzano il sogno di una prima pagina costruita dall’utente (a metà degli anni Novanta circolarono diversi siti che provavano ad offrire questo servizio, ma non ebbero grande successo, anche per le difficoltà tecniche di aggregare differenti home page di siti).

Il loro sviluppo e la diffusione oltre la cerchia, non stretta, ma neppure amplissima, degli attuali utilizzatori dipenderà da come si evolveranno le interfacce di facilitazione della navigazione on line. È significativo ricordare che alcuni browser web minori, Opera e Slim Browser, forse anche per distinguersi dal leader del mercato Microsoft Internet Explorer, hanno introdotto nelle loro ultime versioni un lettore di news RSS integrato. Il portale americano Yahoo! ha iniziato a testare gli RSS nella funzione della pagina personalizzata per gli utenti registrati.
 
Attraverso il sistema introdotto da Yahoo! è possibile selezionare fino a 50 canali selezionabili da una lista messa a disposizione dal portale (ma è anche possibile aggiungerne altri riportando l’indirizzo originale).
Al CEO Summit del 2004 Gates ha dedicato alcuni paragrafi della sua relazione al fenomeno degli RSS lasciando intendere che anche i domini web di Microsoft potrebbero aggregarsi agli entusiasti dei canali RSS.
 
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 3.  Podcasting

Per chi non l'avesse mai sentito prima, podcasting definisce un insieme di tecniche per la diffusione dei contenuti audio principalmente dai blog, e la loro raccolta in automatico da parte di aggregatori intelligenti, con il fine di creare una sorta di radio personale. È la radio on demand su Internet. Si tratta concettualmente di un’applicazione delle tecniche degli RSS all’audio.

Al fenomeno è stato dedicato uno studio del Pew Internet Project (Rainie e Madden, 2005) dal quale emerge che il 29% dei proprietari di lettori MP3 avrebbe scaricato ed ascoltato un podcast negli Stati Uniti. L’errore statistico è significativo ( ± 7,5%), ma il dato è decisamente alto per una semplice moda, equivale infatti a 6 milioni di americani (senza contare gli individui con meno di 18 anni che non erano parte del campione).

Il termine “podcasting” nasce dalle parole “iPod” (il popolare riproduttore di mp3 di Apple) e “broadcasting”, “trasmissione” in italiano. Benché l'iPod sia probabilmente il player mp3 scelto da molti dei primi utilizzatori del podcasting, non è necessario utilizzarlo per usufruire di questo metodo di distribuzione di contenuti. Per l'ascolto, infatti, è sufficiente disporre di un qualsiasi apparecchio (lettore mp3, telefonino, palmare...) in grado di riprodurre questi file audio.
 
 Il podcasting è funzionalmente simile ai videoregistratori digitali capaci di registrare contenuti per una visione successiva, come il TiVo. Parlare di “un podcast” è molto simile al concetto di sottoscrizione di un magazine audio: l'abbonato riceve regolarmente programmi audio trasmessi via internet, e può ascoltarli nelle modalità che preferisce.
 
I podcast differiscono dalle trasmissioni audio tradizionali su Internet in due aspetti importanti. Nel passato, gli ascoltatori dovevano o collegarsi ad una radio online ad un certo orario, o dovevano effettivamente scaricare i file audio da pagine web. Ottenere i podcast è più veloce e flessibile, grazie alla tecnologia dei podcast client (come Ipodder o Doppler) che provvedono automaticamente, attraverso l'apposito Feed RSS, a scaricare l'ultima "puntata" disponibile (o tutte le puntate disponibili) di un determinato podcast a cui ci si è "abbonati".

Il blog Evil Genius Chronicles dà una definizione precisa di cosa rappresenta un Podcast: a) deve essere costituito da un file multimediale di dimensioni finite, scaricabile da Internet; b) deve essere pubblicato come enclosure RSS 2.0; c) deve essere gestito automaticamente lato utente, archiviato e inserito in una playlist

Per chi possiede un iPod, iPodder e iPodderX sono due software che permettono di automatizzare il processo di ricezione. Per chi non ha un iPod, i programmi e i blog che "trasmettono" in audio possono essere ascoltati su un cellulare moderno, un lettore MP3, o sul proprio computer.

I podcast possono essere ascoltati in ogni momento perché una copia è sul computer dell'ascoltatore, o nel suo player mp3, e sono automaticamente recapitati agli abbonati, così che non si rende necessaria nessuna operazione attiva di downloading. Inoltre, a differenza delle web radio in streaming, i podcast non richiedono necessariamente un collegamento ad internet durante l'ascolto; ciò permette ai podcast la fruizione in condizioni di mobilità, prerogativa finora riservata alla radio tradizionale.

Come molte tecnologie basate su Internet, e in modo simile ai blog, ciò che è interessante del podcasting è la possibilità per chiunque di produrre contenuti audio facilmente fruibili on line. È una tecnologia democratica, aperta, che lascia all’utente la possibilità di costruire i propri menu informativi.

Non sorprenda che il podcasting è già stato sperimentato nelle ultime elezioni americane da parte di molti candidati. Per chi fosse curioso e volesse sperimentare il fenomeno il sito audio.weblogs.com, che elenca in ordine cronologico gli ultimi podcast pubblicati, è un buon punto di partenza. In Italia Qix.it è stato il primo sito a lanciare la nuova "moda" e a pubblicare un podcast: questo prevede, per ogni "puntata", l'intervista ad uno dei personaggi della blogosfera italiana o dei principali siti d'informazione nostrani.

Per una realtà pubblica, RSS e podcasting sono due strumenti potenti per rimanere in connessione con il proprio pubblico e stabilire flussi di comunicazione “collaborativi”. Saranno infatti i singoli utenti, in autonomia, a optare se e quando sottoscrivere un feed RSS dell’ente.
 
 
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 4.  Wiki

Wiki significa “rapido, veloce” in hawaiano. Il termine fu usato da Ward Cunningham, un programmatore, per indicare un sistema editoriale il “wikiwikiWeb”. La principale caratteristica di questo sistema era la possibilità  per gli utenti di contribuire alla creazione di contenuti per un sito web.
L’esempio più eclatante dell’applicazione di questo concetto è la Wikipedia. Per i suoi utenti la Wikipedia è la  "condivisione dei contenuti da raggiungere con discussione, da far crescere con materiale originale o di dominio pubblico, nel rispetto del diritto d'autore (qualora sia presente) e con traduzioni di testi rilasciati con licenza GNU GPL" (citato in Corbellino 2004).

La prima Wikipedia è nata nel gennaio del 2001 in lingua inglese grazie a Larry Ranger, Ben Kovitz e Jimbo Wales: il nome è derivato dall'unione di "wiki" ed enciclopedia. Ne esistono in 70 lingue diverse, esperanto incluso, (i confini sono solo linguistici) e tutte insieme formano un volume di circa 800.000 articoli. Quella italiana conta circa 500 adepti e a metà del 2004 aveva on line quasi 13.000 articoli.

In pratica tutti i visitatori del sito con il comando “Edit page” possono modificare liberamente i contenuti di una pagina o aggiungerne di nuove. Nel caso del formato enciclopedico, ciccando su una parola non ancora definita, si sarà esplicitamente invitati a contribuire.

La wikipedia è dunque un testo aperto per eccellenza, in cui autore e lettore si confondono, nella migliore tradizione dei dispositivi ipertestuali. Non a caso, nella citazione si fa riferimento alla licenza GNU GPL che rappresenta il prototipo delle distribuzioni software libere, in cui gli utilizzatori hanno il diritto di intervenire sul codice e proporre miglioramenti.

Apparentemente questo meccanismo sembrerebbe completamente anarchico e incapace di dare garanzie sull’attendibilità dei contenuti. In realtà, laddove si ferma il software iniziano le norme sociali emergenti. Ogni sito wiki catalizza una comunità di utenti fedeli che letteralmente adottano pagine o sezioni e vigilano sull’attendibilità degli inserimenti. Del resto, a detta di coloro che partecipano a simili comunità, gli atti di “vandalismo” sono veramente limitati.

Si noti come i sistemi wiki differiscano in modo sostanziale da forum on line o blog. I contenuti non rappresentano discussioni fra utenti, anche se si può registrare una buona dose di dialogismo nell’evoluzione dei contenuti. Essi rappresentano invece informazioni sì in divenire, ma costruite per permanere.

Apparentemente un modello di giornalismo basato sui sistemi wiki potrebbe sembrare improbabile, invece una delle pubblicazioni on line di maggior successo utilizza proprio questa filosofia: Slashdot. Il sito nasce nel 1997 come un canale informativo sull’informatica (per i “nerds” affermano orgogliosamente gli autori”), ma ben presto i suoi autori iniziano ad accettare i contributi dei lettori e la sua impostazione comincia a cambiare.
 
Lo Slashdot che tutti conoscono oggi non ha più un controllo editoriale in senso classico: i contenuti sono basati in primo luogo sui contributi degli utenti che hanno anche la possibilità di instaurare un dialogo con gli autori dei singoli pezzi. Ogni articolo, spesso solo brevi annotazioni, diventa la base per centinaia di commenti. Ciò che è più interessante è che l’enorme quantità di informazione riceve diversa evidenza a seconda del successo che riscuote da parte degli stessi utenti.

Sulla scia di Slashdot, Staglianò (2002: 175) cita anche l’esempio di Plastic < http//:www.plastic.com > nato nel 2001 prendendo a prestito lo stesso software che fa funzionare  il suo modello. Come scrive Staglianò “mezza rivista, mezzo gruppo di discussione”, Plastic è un esempio di sito con ambizioni di informazione e giornalismo basato sui contenuti prodotti dalla sua comunità di utenti. I contenuti, comunque, sono sempre filtrati dai curatori del sito e sono per lo più brevi commenti ad articoli apparsi altrove, il cui interesse viene valutato dagli altri lettori.

Da notare che il sistema di Slashdot e Plastic non è direttamente collegato con le tecnologie wiki, ma ne incorpora bene le caratteristiche di apertura. Un esempio simile a Slashdot, ma realizzato con differenti tecnologie e soprattutto in un contesto culturale diverso è il coreano OhmyNews  
< http://english.ohmynews.com > per l’edizione inglese).
 
Nel 2001 un gruppo di quattro persone in Sud Korea lanciò il sito web di giornalismo civico. L’idea era di incentivare i contributi dei lettori-cittadini impegnati sul territorio. Da allora lo staff addetto al sito a tempo pieno è arrivato a comprendere 53 persone, di cui 35 giornalisti e inviati. Il numero di cittadini reporter per il sito è arrivato a contare 26.700 individui che inviano circa 200 articoli ogni giorno.
 
 In Sud Korea ci sono almeno un milione di persone che ogni giorno si collegano al sito che combina news e commenti. La sua influenza a livello di mobilitazione popolare si crede abbia avuto una parte non indifferente nell’elezione a presidente di Roh Moo-hyun. In questo caso, come anche all’inizio su Slashdot, comunque la redazione continua a svolgere un ruolo di selezione sulle notizie da pubblicare, nonché di elaborazione, decidendo il livello di enfasi da assegnare ai contributi e proponendo contenuti originali.
 
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 5.  Le comunità on line

Parlare di comunità on line oggi a più di dieci anni dalla pubblicazione del classico The Virtual Community dove Howard Rheingold fece conoscere al largo pubblico cosa significava partecipare a una comunità on line come The Well,  può sembrare anacronistico. Tuttavia, se non è più necessario sforzarsi di dimostrare che le relazioni on line possono dare luogo a legami persistenti del tipo comunitario, è comunque utile ricordare come il panorama delle community sia in continua evoluzione.
 
 Non sono più solo i forum, i newsgroups, le chat. Ci sono nuovi strumenti che promuovono la costituzione di reti sociali. Un esempio di "social networking" molto popolare è Friendster
< http//:www.friendster.com >, il servizio di dating (incontri) online con il più alto numero di iscritti, circa due milioni. Il meccanismo è semplice. Ci si iscrive insieme a degli amici e poi si comincia con il conoscere gli amici degli amici. Rispetto ad altri servizi analoghi, non si può visualizzare l'elenco completo degli iscritti, ma solo i profili delle persone che sono legate in qualche modo alla tua cerchia.

Sullo stesso principio di Friendster, ma trasferito al campo professionale, si basa Linkedin
< http//:www.linkedin.com >. Di fatto si tratta di un enorme database di curriculum e profili professionali che possono essere passati di mano in mano, fino ad arrivare nella mailbox giusta. Anche qui, per comunicare con qualcun altro bisogna passare da qualcuno che possa mettere in contatto le parti.

Questi servizi rappresentano la realizzazione del principio dei sei gradi di separazione, secondo cui ciascuno sul pianeta può arrivare a qualcun altro con non più di sei passaggi. 

Un altro servizio di networking innovativo è Meetup < http//:www.meetup.com >. In questo gli utenti sono liberi di partecipare e unirsi a comunità dei più disparati argomenti. L’aspetto nuovo è rappresentato dal fatto che le comunità sono segmentate a seconda del territorio di appartenenza degli utenti. In questo modo è possibile unirsi a gruppi di persone che condividono gli stessi interessi, ma vivono anche dalle nostre parti. Il servizio è quindi in grado di facilitare il passaggio dall’on line all’off line consentendo l’incontro di coloro che si conosce on line.

Un altro strumento che si è rivelato molto potente per supportare la creazione di comunità on line e relazioni tra gli utenti sono i sistemi di messaggistica istantanea (o instant messaging), un fenomeno molto popolare che si basa su due principi: l’installazione da parte di un utente di un particolare programma di scambio messaggi  (es. C6, ICQ, MSN messanger) e la sua iscrizione in una banca dati centralizzata.
 
Quando un utente è on-line e lancia il programma la sua presenza viene registrata dal server centrale e segnalata automaticamente agli altri utenti che sono in contatto con lui (ogni utente, infatti, tiene una speciale lista degli “amici” sul proprio programma di instant messaging). In questo modo, lo scambio messaggi può iniziare o in maniera asincrona (con brevi messaggi) o sotto forma di conversazione quasi sincrona (chat).

Tutti questi esempi dimostrano come il campo delle comunità on line sia in continua trasformazione e come non possa essere ignorato da chi fa informazione on line. Le comunità on line pongono due grandi sfide ai professionisti dell’informazione on line. La prima consiste nella capacità di dialogare con i propri lettori.
 
Non è cosa da poco, se si considera che in realtà i giornalisti hanno tradizionalmente poche opportunità per farlo, essendo confinati, come ogni gruppo professionale,  in universi di natura autoreferenziale. Questa opportunità non è sempre apprezzata quando invece potrebbe consentire di raccogliere informazioni preziose su come migliorare il prodotto giornalistico e sui temi da trattare.
 
La seconda sfida è quella di trasformare il lettore in fonte. Si tratta di un passaggio ancora più radicale per la cultura giornalistica tradizionale. La trasformazione in fonti dei lettori può avvenire in modi diversi. Per esempio attraverso il racconto di storie originate all’interno della community. Oppure, attraverso contributi diretti degli utenti. Per esempio, questo approccio fu seguito nel 2000 dal sito on line dell’emittente ABC che attivò uno speciale canale denominato Watch Dog con il quale gli utenti potevano suggerire storie interessanti da indagare sulla campagna elettorale: i giornalisti dell’emittente le avrebbero poi approfondite e trasformate in articoli. In ogni caso, la possibilità di dialogo diretto con i lettori non può esaurirsi on line semplicemente con la riproposizione delle “lettere al direttore”, ma deve considerare tutte le possibilità connesse con lo sviluppo delle community.

Pochi siti di informazione fino ad oggi hanno poi promosso vere community tra i propri utenti. La cosa è comprensibile se si pensa appunto come non sia culturalmente semplice integrare la dimensione di community in una pubblicazione giornalistica. In realtà si tratta di una mancanza non da poco se si considera il potenziale delle community per accelerare il marketing on line e la fidelizzazione al prodotto editoriale (vedi De Baggis 2001).

Tuttavia anche nel giornalismo on line in Italia non mancano completamente precedenti di coinvolgimento degli utenti in modalità innovative, diverse dai soliti forum o sondaggi on line. Un paio di casi tratti dalla campagna elettorale per le politiche del 2001 sono esemplificativi (Miani 2003). Cominciamo con il “Forum dei Nuovi Media”, prodotto da Ap-Biscom con la collaborazione di Yahoo! Italia, IlNuovo, InWind, Polix, RaiNews24 e la Federazione Nazionale della Stampa. Il Forum, attivo nelle ultime due settimane di campagna elettorale, invitava il pubblico a inviare, per posta elettronica, domande da rivolgere a un politico. Nove dei 43 politici a cui era possibile rivolgere una domanda effettivamente fornirono la propria disponibilità a rispondere a un’intervista confezionata con le domande provenienti dal pubblico. Le interviste che risultarono da questo sforzo sono un tipico esempio di coproduzione, fra il pubblico, una testata giornalistica come ApBiscom – rimasta fino alla fine responsabile della selezione delle domande – e diversi portali che contribuirono a dare visibilità all’iniziativa.

Sempre in tema di incontri interattivi, menzioniamo anche i webcast organizzati da Son et Lumiére in collaborazione con il portale di politica Polix. Tra gli intervistati ci furono il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro e il ministro Pecoraro Scanio. Il formato era semplice. Gli utenti, registrandosi per la visione del webcast (sotto forma di intervista audiovideo in diretta), potevano sottoporre in anticipo domande che avrebbero voluto porre all’ospite e votare la domanda che avrebbero voluto sentir porre tra quelle già formulate. In questo modo, alla fine, le domande con più voti venivano effettivamente rivolte all’ospite, dando vita così, ancora una volta, a un’intervista ibrida, alla cui definizione avevano concorso gli stessi utenti. Un formato non molto dissimile era anche adottato da Radio Radicale per alcuni fili diretti che era possibile seguire sia sulle frequenze FM della radio che sul sito web.

Anche l’instant messaging si presta per simili utilizzi. In questo caso, valga l’episodio degli e-buttal nella campagna statunitense del 2000 (Miani 2003). Sia il sito di Gore che Bush (quest’ultimo sotto il dominio debatesfacs.com) sperimentarono le possibilità di immediatezza e di integrazione con altri media offerte da Internet in occasione dei dibattiti presidenziali trasmessi alla televisione.
 
Durante il primo dibattito, del 3 ottobre 2000, nel suo sito lo staff di Bush si impegnò a evidenziare le “invenzioni” di Gore espresse durante la discussione e a rispondervi con “fatti”. In tutto vennero pubblicati 33 documenti. Le pagine del sito venivano aggiornate automaticamente ogni 80 secondi con nuovi elementi a discredito delle affermazioni del democratico. Lo sforzo fu reso possibile dalla collaborazione della eCampaign di Bush con il policy department che disponeva di corposi dossier sulle possibili affermazioni dell’avversario.

Gore adottò una strategia differente. Oltre a inviare, in tempo reale, nove “reality checks” sulle dichiarazioni di Bush, diede ai visitatori del sito la possibilità di partecipare a chat in tempo reale attraverso il suo sistema di instant messaging. A ciascuno dei reality check era associato un link per saperne di più e la possibilità di inviare la pagina web per e-mail a un conoscente.

Le due strategie, pur condividendo la stessa enfasi per le doti di istantaneità dell’informazione su Internet, configuravano due diversi modelli comunicativi. Il flusso comunicativo instaurato da Bush era chiaramente unidirezionale; soprattutto l’aggiornamento automatico delle pagine lasciava poca libertà all’utente. Gore fu in grado di creare più interazione fra gli utenti del sito (attraverso l’invio delle pagine e il chat). In entrambi i casi, i siti cercarono di rendere più ricca l’esperienza degli spettatori del dibattito televisivo.
 
Questa forma di comunicazione fu subito nominata e-buttal (con la sostituzione della solita e al prefisso re di rebuttal) e rappresenta un buon esempio, portato avanti da un soggetto “non giornalistico”, di come integrare diversi mezzi e mettere in collegamento gli utenti per la fruizione dei contenuti.
 
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Note al testo
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1) Questo sito è archiviato dal W3C:
< http://www.w3.org/History/19921103-hypertext/hypertext/WWW/News/9201.html >
 
2) Il dato è ricavato dalla classifica dei libri più citati sui blog comp il ata dal sito
< http://www.allconsuming.net >  
 
3) Una lista di questi programmi può essere trovata a questo indirizzo:
< http://blogs.law.harvard.edu/tech/directory/5/aggregators >
 
 
Riferimenti bibliografici
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Barabási, A.-L. (2003) Linked, New York, Plume.
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Corbellino, Monica (2004) “Genova, ecco i "wikipediani" creatori dell'enciclopedia in Rete” in Repubblica.it, 28 giugno 2004, on line: <http://www.repubblica.it/2004/f/sezioni/scienza_e_tecnologia/wikiped/wikiped/wikiped.html.>
De Baggis, Mafe (2001) Le tribù di Internet. Come accelerare il web marketing con le community, Milano, Hopslibri. 
Kraut, R., Kiesler, S., Boneva, B., (2002) “Internet Paradox Revisited” in Journal of Social Issue, vol. 58.
Kraut, R., Patterson, M., Lundmark, V., Kiesler, S., Mukophadhyay, T., & Scherlis, W. (1998). Internet paradox: A social technology that reduces social involvement and psychological well-being? in American Psychologist, 53, 1017-1031 (disponibile on line < http://www.apa.org/journals/amp/amp5391017.html >)
LaRose, R., Eastin, M. S., Gregg, J. (2001) “Reformulating the Internet paradox: Social cognitive explanations of Internet use and depression” in Journal of Online Behavior, 1 (2), on line:
< http://www.behavior.net/JOB/v1n1/paradox.html >
Miani, M. (2003) La comunicazione politica in Internet, Roma, Luca Sossella Editore.
Miani, M. (2004) “Se su Google fai la ricerca 'miserable failure' primo non esce più Bush, ma Michael Moore” in Il Riformista, 9 febbraio 2004.
Rainie, L. e Madden, M., 2005, Podcasting, Pew Internet Life Project, on line:
< http://www.pewinternet.org/pdfs/PIP_podcasting.pdf. >

Romagnolo, Salvatore, Sottocorona, Chiara (1999) MediaMorfosi. La metamorfosi dei mezzi di comunicazione di massa nell’era digitale, Milano, Apogeo [ebook].
Staglianò, Riccardo (2002) Giornalismo 2.0. Fare informazione al tempo di Internet, Roma, Carocci.

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Ultimo aggiornamento: 28/12/05