Comunicazione e reputazione nelle pubbliche amministrazioni: intervista a Toni Muzi Falconi
In un mondo in cui la comunicazione viaggia rapidamente diventa sempre più importante, non solo per le aziende private ma anche per la pubblica amministrazione, avere, presso i propri pubblici di riferimento, una reputazione positiva. L'attribuzione di valore da parte dei cittadini ai servizi erogati (brand reputation) dalle amministrazioni pubbliche rimanda ad un’idea di fiducia, ovvero alla possibilità di instaurare con essi una relazione vissuta non più come esclusivamente "necessaria", ma anche come "significativa" (gennaio 2011)
La reputazione, così intesa, conferisce senso ai soggetti partecipanti al processo comunicativo e, al contempo, diventa un presupposto alla possibilità di informare adeguatamente e coinvolgere gli utenti dei servizi nelle pratiche di ascolto e valutazione partecipata, che sono determinanti per la definizione di contesti e obiettivi di azione.
Abbiamo chiesto a Toni Muzi Falconi, past president della FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) e director di Methodos, di introdurci all’argomento, relativamente nuovo per il settore pubblico, illustrando alcuni degli aspetti di maggiore potenziale impatto sulle amministrazioni pubbliche.
D. Cosa significa reputazione per le pubbliche amministrazioni e quali sono le differenze/relazioni con i concetti di immagine e identità?
R. L’identità è data dall’insieme dei fondamentali dell’organizzazione (storia, missione, visione, strategia, valori guida) e dai suoi comportamenti agiti (azioni). E’ ciò che l’organizzazione è. L’immagine è invece ciò che gli altri - pubblici influenti che producono conseguenze sull’organizzazione o sui quali l’organizzazione produce conseguenze o entrambi - percepiscono dell’organizzazione. E’ il modo in cui l’organizzazione viene vista dagli altri.
La reputazione è ciò che gli altri - pubblici influenti che producono conseguenze sull’organizzazione o sui quali l’organizzazione produce conseguenze o entrambi - dicono dell’organizzazione, on line e offline.
L’implicazione è che la reputazione è un giudizio, seppur mutabile, ma relativamente consolidato, al punto da permettere alle persone di sentirsi libere di esprimerlo con altre persone (“parlo ad altri dell’organizzazione, esponendo la mia stessa reputazione nel parlarne”). L’immagine, essendo una percezione, invece, è meno consolidata (perché continuamente oggetto di azioni comunicative di orientamento…più o meno consapevoli) “non metto in gioco la mia reputazione, parlandone ad altri”.
Una amministrazione pubblica sa bene che l’autorità che le deriva da una legge dello stato non è sufficiente ad assicurare la produzione e l’erogazione di servizi efficienti insieme alla soddisfazione degli utenti.
Sa anche bene che la fiducia degli utenti - intesa nel senso di ‘fa quel che dice’ - dipende dall’autorevolezza che la singola amministrazione riceve grazie al livello raggiunto di ‘licenza di operare’, un concetto analogo a quello di reputazione ma che chiarisce come - se la fiducia (fa che quel dice) dipende quasi interamente dall’organizzazione - la licenza di operare (e quindi la reputazione) dipende quasi interamente dagli altri che giudicano i comportamenti dell’organizzazione e ne parlano con altri ancora.
Naturalmente non tutti condividono questa mia impostazione e vi sono altre scuole che dicono cose diverse, talvolta anche assai convincenti. L’approccio che ho espresso ha forse il vantaggio della semplicità.
D. Esistono connessioni significative tra reputazione e gestione delle relazioni?
R. E’ dai primi anni novanta del secolo scorso che gli studiosi dibattono la complementarietà o la contrapposizione fra la scuola delle relazioni e quella della reputazione, e il dibattito continua.
Negli anni è maturata in me la convinzione - anche grazie a molte esperienze concrete, professionali e sul campo - che la comunicazione è un importante strumento a diposizione delle organizzazioni per creare relazioni con i loro stakeholder.
E relazioni efficaci con gli stakeholder contribuiscono al rafforzamento della reputazione di una organizzazione e alla crescita della sua licenza di operare.
E’ molto raro, infatti, osservare organizzazioni di buona reputazione prescindere dall’imperativo di governare con sagacia le relazioni con gli stakeholder orientandole al dialogo e al coinvolgimento attivo (bridging), mentre può accadere che organizzazioni di scarsa o cattiva reputazione investano molto in attività tattiche di comunicazione orientate alla propria difesa (buffering).
In sintesi, ritengo che abbia poco senso per una organizzazione parlare di ‘gestione della reputazione’ (reputation management). E’ certo possibile monitorare la reputazione, individuandone anche i punti deboli e forti, ed è certo possibile operare per migliorarla, ma certo non è possibile gestirla perché la reputazione la decidono gli stakeholder. In questa prospettiva sono le relazioni che vanno migliorate, e queste non solo si possono monitorare e valutare, ma si possono anche gestire.
D. Quali sono i più efficaci approcci strategici e i relativi strumenti per la gestione della reputazione da parte delle amministrazioni pubbliche che perseguono l’obiettivo di influenzare la propria brand reputation?
R. Nella premessa redazionale a questa intervista si fa riferimento alla brand reputation come ‘attribuzione di valore da parte dei cittadini ai servizi erogati’.
Restando in questo perimetro interpretativo il valore che gli utenti attribuiscono al servizio erogato può certamente crescere in misura proporzionale alla qualità della relazione e al coinvolgimento dei clienti nella progettazione ed erogazione, in chiave di co-progettazione, co-produzione, e co-valutazione. A sua volta, questo accresce la licenza di operare attribuita al brand e quindi anche la sua reputazione.
Nello specifico posso indicare gli indicatori che gli studiosi delle relazioni ritengono più efficaci per valutare l’efficacia di una relazione fra due soggetti: soddisfazione nella relazione, impegno nella relazione, fiducia nella relazione e equilibrio di potere nella relazione.
Naturalmente se ne possono aggiungere altri in funzione della situazionalità che necessariamente risiede in ogni programma specifico, ma la rilevazione di questi indicatori (da 1 a 10, o da 1 a 100, o con altre scale) consente all’organizzazione non solo di valutare il punto di partenza, ma anche di decidere, per un certo periodo e a fronte di determinati investimenti di tempo e di risorse, obiettivi specifici da raggiungere e poi verificare se siano stati raggiunti.
Rispetto allo specifico della reputazione vi sono diversi indicatori di valutazione che si possono adottare. Forse i più aggiornati (sempre però da adattare allo specifico di ogni programma) sono le sette dimensioni definite dal Reputation Institute: qualità del prodotto/servizio, dell’innovazione, del luogo di lavoro, della governance, della responsabilità, della direzione e della performance.
D. In che modo l’utilizzo di politiche e strumenti di rilevazione della customer satisfaction in generale e, in particolare, della modalità di rilevazione continua della soddisfazione tramite le emoticon promossa dall’iniziativa “Mettiamoci la faccia”, possono contribuire a costruire prima e a migliorare poi la reputazione di una pubblica amministrazione?
R. Tante iniziative sparse fra loro e differenziate possono naturalmente contribuire a costruire e poi migliorare nel tempo la reputazione di una amministrazione pubblica, ma la somma degli impegni richiesti per ciascuna rischia talvolta di essere insostenibile e forse anche incoerente.
Soprattutto l’amministrazione dovrebbe operare con azioni e comportamenti concreti per migliorare complessivamente la qualità del servizio erogato, monitorarne la soddisfazione con strumenti anche più coinvolgenti delle emoticon (tramite co-progettazione e co-produzione) e così incrementare la qualità delle relazioni e quindi la licenza di operare (reputazione).
‘Mettiamoci la faccia’ è un’ iniziativa importante a condizione che la singola amministrazione la integri con altre azioni orientate a migliorare la qualità delle relazioni con l’utente del singolo servizio e quindi la reputazione dell’ amministrazione.
Come si è visto brand, reputazione, customer satisfaction e capitale intellettuale rappresentano una componente prevalente di crescita, sviluppo e innovazione per le pubbliche amministrazioni. Questi fattori intangibili sono tenuti insieme da un comune denominatore, quello dell’ identità considerata nei suoi due aspetti prevalenti: l’ organizational identity (ovvero, l’insieme di valori e tratti distintivi che sono percepiti all’interno come fondamentali e caratterizzanti) e la corporate identity (l’immagine che viene comunicata all’esterno attraverso il logo, le infrastrutture, ma soprattutto con i propri servizi e comportamenti).
L’identità, anche mediante l’attuazione di strategie di employer branding e lo sviluppo di community con valori forti e condivisi che motivino il personale dei servizi, contribuisce a sviluppare sentimenti di appartenenza e consapevolezza, nonché a potenziare la reputazione, grazie ad una coerenza complessiva tra immagine proiettata e fatti tangibili che distinguono l’agire di una pubblica amministrazione.
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Sul tema della reputazione si veda anche il contributo di Davide Ravasi, intervenuto in qualità di discussant nella Seconda Convention di Mettiamoci la faccia.
Per saperne di più su Mettiamoci la faccia