L'autovalutazione: un percorso per migliorare

Tito Conti, esperto del team scientifico di supporto del Centro Risorse CAF nazionale, in questo articolo pone l’attenzione sull’importanza, per le organizzazioni, di effettuare l’autovalutazione in modo corretto e in un contesto di apertura al confronto esterno (gennaio 2009).

Autovalutazione: Essere o apparire?

Foto Tito Conti(di Tito Conti)

Chi vuole migliorare se stesso non ha altra via che imparare a conoscersi meglio: attraverso la pratica dell'autoanalisi, possibilmente aiutata da un amico o da un esperto, e attraverso il confronto aperto e sincero con altri che condividono gli stessi obiettivi. Diremmo noi, con il linguaggio della qualità, attraverso l'autovalutazione e il benchmarking.

Come per le persone, anche per le organizzazioni il miglioramento passa attraverso l’autovalutazione e il confronto con gli altri. Le organizzazioni non sono altro che sistemi sociali complessi, che amplificano le problematiche umane.

Naturalmente le autovalutazioni richiedono un modello di riferimento: come si vorrebbe essere e come si vorrebbe essere percepiti. Se si vogliono fare le cose seriamente occorre costruirsi un modello, o adottarne uno costruito da altri e che si trova convincente – e confrontarsi con esso.  Poiché l’obiettivo dell’autovalutazione è il miglioramento, la validità del modello si misura con la sua efficacia nel raggiungerlo.

In questi tempi in cui l’autovalutazione è di moda, sono comparsi molti articoli sull’autovalutazione personale. E’ interessante vedere che anche in tali casi emerge il virus che inquina spesso le valutazioni delle organizzazioni. Si cercano i modi per apparire migliori di quello che si è: nei colloqui di assunzione, nel rapporto con i clienti e i colleghi; nei rapporti di partecipazione ai premi o nei confronti dei potenziali clienti. Sono stratagemmi che hanno la coda di paglia, perché la vera natura emerge poi nei rapporti reali, quotidiani. Autovalutarsi in relazione a come si è percepiti è necessario, per cambiare veramente il modo di rapportarsi con gli altri, per creare relazioni nelle quali tutte le parti coinvolte cercano di dare e ricevere il valore atteso.

Le organizzazioni hanno per molti anni adottato modelli gerarchico/burocratici, e la valutazione – di conformità al modello - era condotta da esperti di terza parte per conto del vertice: era l’audit, o verifica ispettiva. Il vento del TQM ha portato a guardare  all’organizzazione come un sistema socio-culturale, che può avere successo solo se c’è un leader capace di motivare e coinvolgere i collaboratori verso gli obiettivi comuni. Il raggiungimento degli obiettivi diviene il criterio di giudizio.

Perciò i modelli mettono in evidenza i risultati e i fattori organizzativi critici per il loro raggiungimento (chiamati fattori abilitanti). I risultati sono il punto di partenza di ogni analisi valutativa e da essi – o meglio dai performance gap – si parte per l’analisi dei fattori abilitanti. Un’analisi che deve coinvolgere tutti nell’organizzazione. Considerare i modelli (tra cui il CAF) solo come modelli per l’autovalutazione è riduttivo; si tratta di modelli organizzativi finalizzati al miglioramento. Essi servono per pianificare, eseguire, valutare, agire: le quattro fasi del “Ciclo PDCA”. Un ciclo ancora poco usato, ma essenziale sia per mantenere la rotta nella fase di esecuzione, sia per il miglioramento continuo. Le migliori imprese nel mondo già usano il ciclo PDCA annuale come modo di operare normale. La maggior parte delle imprese italiane – e la (quasi?) totalità delle amministrazioni, è ferma alla sequenza “Pianificazione – Esecuzione” (PD). E’ perciò giustificata l’attuale enfasi sull’autovalutazione e le azioni ad essa conseguenti (CA), le fasi carenti. E lo è perché la vera sequenza per il miglioramento è: CAPD. E’ giusto partire dall’autovalutazione dello stato dell’organizzazione.

L’autovalutazione è un processo diagnostico, il cui scopo primario è individuare le debolezze e le loro cause. La consuetudine dei premi ha portato all’uso dell’espressione “aree di miglioramento” al posto di “debolezze. I premi infatti hanno per clienti le organizzazioni partecipanti e si considera non politically correct parlare di debolezze. Ma in casa propria è meglio parlare di debolezze se si vuole migliorare. Le debolezze devono essere quantificate, in termini relativi, cioè percentuali rispetto agli approcci giudicati come prassi eccellenti. Tale quantificazione serve quando il management deve decidere dove investire per il miglioramento.

Si noti qui di sfuggita che i miglioramenti veri avvengono quando non si pretende di migliorare “a pioggia”, ma ci si concentra sulle aree più critiche (metodo di Pareto). Solo così mese dopo mese, anno dopo anno, si rende l’organizzazione sempre più adatta a raggiungere i propri fini. Ciò che è assolutamente da evitare è cadere nella trappola dei punteggi, dalla quale non si esce se non con la sindrome della volpe e l’uva: siccome non si è riusciti a realizzare miglioramenti significativi si dice che l’autovalutazione – o il modello utilizzato – non funziona. Questo avvertimento vale soprattutto per le amministrazioni che hanno imparato a valutarsi in funzione dei premi. L’autovalutazione non si conclude con un “rapporto di partecipazione”, ma con il “rapporto di autovalutazione” cui devono seguire i progetti di miglioramento.

Utilizzando come modello per l’autovalutazione il CAF si fa la conoscenza di tutti gli strumenti del TQM: di pianificazione, di gestione, di valutazione, di correzione e miglioramento. Ma è una conoscenza superficiale: dopo bisogna studiare e fare esperienza sul campo di tali strumenti. Non si migliora solo valutandosi ma imparando come si fanno le cose.

Per terminare, un cenno sull’assoluta necessità che il vertice dell’amministrazione sia il protagonista dell’autovalutazione (ovviamente insieme ai suoi collaboratori). Se non accade (e purtroppo è il caso più frequente) non si avranno mai miglioramenti significativi. La PA italiana necessita infatti di cambiamenti radicali nei modi di intendere e gestire le organizzazioni – e nessuno potrà fare (o per lo meno tentare seriamente di fare) tali cambiamenti se non i responsabili di più alto livello. Accettano i vertici tale sfida?

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Per ulteriori approfondimenti


Tito Conti è uno dei maggiori esperti italiani in tema di qualità. Consulente nei campi Organizzazione e Total Quality Management, è chairman dell'International Academy for Quality, fellow dell'American Society for Quality e membro dei nuclei di valutazione di diverse università. Dal 2001 collabora con il DFP e il Formez, sia a livello nazionale che europeo, a tutte le attività connesse alla promozione e diffusione del modello Caf nel settore pubblico. È autore di numerose pubblicazioni, in Italia e all'estero, sui temi della qualità dell'organizzazione, tra cui Autodiagnosi organizzativa, tradotto in nove lingue.

 

Ultimo aggiornamento:  14/05/2012