Indicativa del radicarsi delle istanze di usabilità è anche l’evoluzione dei termini usati nelle norme emanate nel tempo su tale materia.
Per argomenti come l’usabilità, che erano stati in precedenza oggetto solo di circolari o direttive (come la circolare della Funzione Pubblica recante “linee guida per l'organizzazione, l'usabilità e l'accessibilità dei siti web delle pubbliche amministrazioni” del 13 marzo 2001, n. 3/2001 e l’altra dell’AIPA recante “criteri e strumenti per migliorare l'accessibilità dei siti web e delle applicazioni informatiche a persone disabili” del 6 settembre 2001, n. AIPA/CR/32), quando si è giunti a disciplinarli in norme primarie si è passati da quella che si potrebbe definire un’ “ansia definitoria” ad una “tranquillità terminologica”.
Proprio il nuovo Codice dell’amministrazione digitale nasce dall’esigenza di dare una adeguata regolamentazione giuridica a principi generali e nella scelta dei termini è in linea con il principio comunitario secondo cui il legislatore deve essere neutrale tecnologicamente, in modo da accogliere tutte le eventuali future evoluzioni. Si è rimosso così il timore che norme obsolete, magari contenenti termini ambigui o troppo rigidi, siano di ostacolo e non di stimolo allo sviluppo delle ICT in ambito pubblico e privato.
In quella che è stata già definita come una “Magna Charta” non potevano quindi essere disattese le aspettative di garantire un luogo unico in cui tutti i principi fondamentali in questa materia fossero espressi e chiari, in modo che i soggetti chiamati ad operare e quelli tenuti ad applicare il codice fossero legati da una forza cogente che le disposizioni contenute nelle fonti secondarie non avevano ancora mai avuto.