Cooperazione e negoziazione

Come spiegare l'adozione di strategie di comportamento collaborative nei contesti di lavoro

La dimensione relazionale risulta una variabile in grado di contribuire in modo determinante alla definizione delle performance di un’organizzazione e più in particolare la capacità delle persone di assumere strategie di comportamento collaborative, sia nella relazione con il collega sia all’interno di gruppi di lavoro, costituisce una competenza rilevante per il raggiungimento di risultati soddisfacenti, sia dal punto di vista individuale, sia collettivo.
Per spiegare meglio tale considerazione, dunque per comprende le dinamiche che guidano il comportamento delle persone all’interno di contesti organizzativi si è fatto ampio ricorso alla Teoria dei Giochi. Nata in ambito economico, la Teoria dei Giochi è infatti stata importata in differenti discipline e scienze sociali, proprio per spiegare il comportamento dei singoli e dei gruppi, oltre che individuare le strategie di comportamento più efficienti, quando gli individui si trovano in situazioni di interdipendenza reciproca.

Una delle declinazione più conosciuta della Teoria dei Giochi consiste nel Dilemma del Prigioniero il quale si basa sulla presenza di alcune condizioni di contesto che si avvicinano con buona approssimazione possono a quelle riscontrabili all’interno dei contesti lavorativi:
 - Dipendenza reciproca degli esiti dei comportamenti, ovvero i soggetti si trovano in una condizione di interazione strategica, che significa che gli effetti dei comportamenti di un singolo o di un gruppo dipendono anche dai comportamenti di altri singoli o di altri gruppi di persone;
 - Informazione imperfetta rispetto ai comportamenti altri, ovvero incapacità di prevedere esattamente le scelte e gli atteggiamenti dei colleghi;
 - Assenza  “naturale” di finalità cooperative tra i soggetti/gruppi, poiché ciascun soggetto o gruppo di persone persegue il proprio “benessere” individuale, che non necessariamente coincide con quello altrui o con il benessere collettivo, in quanto le preferenze, i valori, gli scopi e le priorità di ciascuno sono generalmente soggettive e si differenziano reciprocamente. Ciò, in altre parole, significa che l’assunzione di comportamenti cooperativi non costituisce la strategia dominante per un individuo, nel senso che anche nel caso in cui esso avessero conosciuto in anticipo le scelte/strategie di comportamento altrui non avrebbero comunque assunto un atteggiamento negoziale o cooperativo.
Vediamo di seguito alcune considerazioni circa le strategie di comportamento adottate dalle persone che si trovano ad interagire in contesti di questo tipo.

 

 La strategia non cooperativa 
Il Dilemma del Prigioniero pone di fronte due individui all’interrogativo se collaborare con l’altro oppure no, senza avere la possibilità di comunicare, dunque stipulare un accordo preventivo vincolante. Ognuno dei due infatti può scegliere un comportamento cooperativo oppure decidere di adottare un atteggiamento individualistico, cioè finalizzato esclusivamente alla massimizzazione del proprio tornaconto personale. A ciascuna combinazione di strategie corrisponde un diverso risultato finale. Il paradosso evidenziato dal Dilemma del Prigioniero (per ora ipotizzando che l’interazione tra i due soggettivi avvenga una sola volta) è che la coppia di strategie che produce un esito finale più desiderabile, sia per il singolo che per la collettività, non è, controintuitivamente, quella che viene adottata in base ad un criterio di scelta puramente razionale. Le persone infatti se mosse esclusivamente dal perseguimento del proprio interesse personale sono portate a scegliere di non collaborare con l’altro, dando tuttavia origine ad una situazione sub-ottimale anche per se stessi, oltre che alla situazione peggiore per il gruppo. La strategia non cooperativa, nello scenario illustrato dal Dilemma del Prigioniero, risulta infatti per entrambi i “giocatori” la strategia dominante, che vuol dire che anche a posteriori, cioè dopo aver conosciuto la mossa dell’altro, nessuno dei due ha interesse a modificare la propria scelta. Ma ciò determina un risultato peggiore, o un guadagno inferiore, rispetto all’ipotesi cooperativa.
Il Dilemma del Prigioniero riesce dunque a spiegare come l’assunzione di comportamenti negoziali si configuri come la strategia vincente anche in situazioni in cui la cooperazione, nel breve periodo, non si presenta come la strategia dominante, ovvero il comportamento più razionale secondo una logica di pura massimizzazione del tornaconto individuale.

 L'insorgenza naturale della cooperazione
Considerazione ancor più interessanti emergono dall’applicazione del Dilemma del Prigioniero se ci spostiamo da un orizzonte temporale finito ad un orizzonte temporale infinito.
Se infatti adottiamo un’ ottica di lungo periodo, il dilemma tra collaborare o non collaborare con l’altro sembrerebbe risolversi mediante l’insorgenza “naturale” di atteggiamenti cooperativi.
In particolare, se si ipotizza che il gioco possa essere ripetuto non solo una volta, come accade nell’esempio precedente, bensì un numero infinito di volte, oppure che i giocatori non conoscano esattamente quando il gioco avrà fine, subentra una nuova variabile che può influenzare il comportamento strategico delle persone, ovvero l’accumulo di informazioni attraverso l’applicazione di meccanismi di apprendimento. Se dunque le persone si trovano ad interagire in modo ripetuto, ciascuno è in grado di modificare il proprio capitale di informazioni circa il comportamento altrui e ciò può introdurre elementi nuovi da valutare nella scelta della propria strategia di comportamento da adottare. In una condizione di reiterazione illimitata del gioco, infatti, la Teoria dei Giochi ci suggerisce che possano insorgere “naturalmente” atteggiamenti collaborativi anche in situazioni “strutturalmente” non cooperative. Infatti, riprendendo l’esempio del Dilemma del Prigioniero, la possibilità di ripetere il gioco un numero potenzialmente infinito di volte, porta i due soggetti a capire che se continuano ad adottare la propria strategia di comportamento dominante, ovvero quella frutto della propria razionalità individuale, saranno condannati nel lungo periodo a perdite ingenti. Se invece decidessero implicitamente di adottare comportamenti cooperativi potrebbero ottenere un incremento significativo del proprio benessere individuale, oltre che raggiungere il risultato socialmente migliore. Dunque, nel caso in cui le persone si trovino ad interagire in modo continuativo e ripetuto è probabile che si verifichi l’insorgenza di comportamenti collaborativi stabili, che non dipendono tanto da valutazioni di tipo morale, bensì dalla constatazione che ciò porta all’ottenimento di più elevati livelli di benessere individuale, oltre che al miglior risultato collettivo. Infatti, nel caso in cui una persona decida di assumere atteggiamento cooperativo e l’altro no, nella mossa successiva è molto probabile che anche il primo decida di punire il comportamento ostile dell’altro e adotti una strategia “ritorsiva”. Ma ciò innesca un meccanismo inesorabile e autodistruttivo. Quindi, il timore di successive ritorsioni e punizioni, in caso di comportamenti scorretti, induce l’individuo a valutare la convenienza di adottare comportamenti collaborativi.
In sintesi, in contesti in cui le persone si trovano in situazione di interazione strategica, ovvero dove l’esito del proprio comportamento è influenzato dal comportamento delle altre persone, dove ognuno in linea di principio persegue il proprio interesse personale sulla base di una razionalità individuale, guidata da scale valoriali e priorità soggettive, e non c’è la possibilità di sapere esattamente quali atteggiamenti saranno adottati dalle altre persone, se:
 - l’interazione avviene una volta sola è probabile che la strategia di comportamento adottata da ciascuno sia guidata soltanto da un principio di razionalità individuale, che conduce però ad un risultato sub
 -ottimale, sia per il singolo sia per la collettività;
 - l’interazione avviene in modo ripetuto e le persone non sanno con esattezza quando ciò avrà fine, allora è probabile che si verifichi l’insorgenza implicita di meccanismi cooperativi, poiché la possibilità di usufruire di processi di apprendimento introduce elementi di valutazione nuovi nel processo di decision making delle persone. In particolare, nel lungo periodo le persone sono indotte a collaborare poiché ciò si rivela la stragia più efficiente, pena ritorsioni altrui che condannano ad esiti collettivamente inefficienti.

 La strategia del "Colpo su colpo"
Ragionando su un orizzonte temporale di lungo periodo e ipotizzando che i soggetti coinvolti nella relazione siano più di due,  Robert Axelrod ha effettuato una ricerca empirica che ha fatto emergere come la strategia comportamentale vincente, poiché in grado di dare origine all’esito più elevato, sia per i singoli sia per la collettività, è la cosiddetta “Tit fot Tat”, ovvero la strategia del “colpo su colpo”, la quale prevede che si parta sempre adottando una strategia collaborativa, per poi replicare nelle situazioni successive la mossa dell’altro. In tal caso, comportamenti non collaborativi saranno immediatamente puniti con risposte altrettanto non collaborative, mentre comportamenti corretti saranno parallelamente premiati con fiducia e comportamenti  altrettanto corretti. Da questa ricerca emerge dunque un chiaro suggerimento di condotta morale: partire sempre accordando fiducia all’altro, dunque scegliere sempre come prima mossa la collaborazione!

 La relazione interpersonale come strumento e come fine
Al di là delle considerazioni desumibili da queste applicazioni della Teoria dei Giochi, è possibile aggiungere ulteriori elementi alla riflessione e allora la situazione si complica ulteriormente. Il Dilemma del Prigioniero infatti si basa su uno scenario piuttosto netto e forse non sempre e univocamente fedele alla realtà. Ovvero considera l’individuo come soggetto razionale, che agisce esclusivamente perseguendo il proprio benessere, dove il benessere assume in questo caso un’accezione  essenzialmente “materiale”.
Se invece si ammette che, nella valutazione circa il comportamento da seguire, le persone tengano in considerazione non solo il proprio tornaconto personale, ma anche valutazioni di tipo morale, oltre che percepire il valore in sé della relazione interpersonale come elemento di benessere soggettivo allora le considerazioni fino ad ora illustrate necessitano di ulteriori approfondimenti.
La relazione interpersonale, infatti, può essere interpretata, da un lato, con un’accezione strumentale, nella misura in cui il raggiungimento di un determinato fine necessita l’instaurazione di un rapporto collaborativo o un qualche tipo di interazione interpersonale “positiva”. Dall’altro lato, però, essa può costituire anche obiettivo in sé, poiché le persone traggono beneficio anche dalla natura sociale, emotiva, affettiva ed empatica della relazione stessa, anche in contesti lavorativi.  A questo proposito, è utile infatti considerare che risulta più facile instaurare rapporti cooperativi, ovvero raggiungere accordi negoziali, con persone con cui si è legati da fiducia reciproca, nonché evidenziare il fatto che il clima e il benessere organizzativo influiscono significativamente sulle performance effettive dei lavoratori. Da qui discende l’importanza di competenze quali l’empatia e l’intelligenza emotiva, ovvero di quelle competenze trasversali legate più al saper essere, che combinate al sapere e al saper fare vanno a comporre l’expertise delle persone e che facilitano l’attivazione di comportamenti collaborativi e cooperativi, al di là della pura applicazione di criteri di comportamento dettati dalla razionalità soggettiva e dalla massimizzazione dell’interesse individuale. 

Ultimo aggiornamento:  10/05/2013

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