L'evoluzione del concetto di usabilità dei prodotti ipermediali è parallela a quella dei prodotti stessi; in particolare è in funzione del tipo di utenti dei sistemi.
Possiamo individuare quattro epoche evolutive diverse:
Prima del 1980 - l'usabilità non è necessaria
Fino agli Anni '80, il software veniva prodotto e utilizzato prevalentemente dagli ingegneri informatici; gli utilizzatori di questi prodotti erano poi gli stessi progettisti: se l'utente di un sistema è la stessa persona che lo ha sviluppato, ovviamente l'usabilità è un problema che non esiste.
Inoltre l'attenzione era rivolta più al mezzo (il computer) che allo scopo (coadiuvare l'attività delle persone); in questo caso, il modello del progettista e il modello dell'utente coincidevano.
In quegli anni, però, nacque la Human Computer Interaction (HCI), una scienza fondata sul design che cercava di capire ed aiutare le persone a interagire con e per mezzo della tecnologia.
In questo periodo, l'affermazione secondo cui i sistemi dovevano essere progettati tenendo conto delle esigenze, delle abilità e dei desideri degli utenti finali non veniva presa molto sul serio.
La serie di studi che costituiscono la pietra miliare della fondazione dell'HCI venne allora definita Psicologia del Software. Obiettivo di questa disciplina era quello di provare l'utilità di un approccio comportamentale alla comprensione del design del software, della programmazione e dell'uso dei sistemi interattivi, e di motivare gli sviluppatori di sistema a tenere in considerazione le caratteristiche degli esseri umani.
Obiettivo della psicologia del software era quello di produrre una descrizione generale dell'interazione degli esseri umani con il computer che fosse riassumibile in linee guida per gli sviluppatori e quello di verificare direttamente l'usabilità dei sistemi e del software.
Anni '80 - i laboratori di usabilità
Nel 1983, la Apple, realizza il primo personal computer con interfaccia grafica e mouse, destinato alla diffusione su larga scala. Da questo momento inizia l'introduzione sempre crescente del computer (con interfaccia grafica o a riga di comando) e contemporaneamente iniziano i problemi di usabilità: l'utente del sistema non appartiene più alla stessa classe di chi lo ha sviluppato.
In questa fase, che corrisponde alla prima diffusione delle tecnologie informatiche sia negli uffici che nelle famiglie, gli utenti non avevano più competenze comuni con i progettisti. L'usabilità cominciava ad essere un problema e si verificarono i primi episodi di rifiuto della nuova tecnologia, causati sia dagli alti costi per la formazione, sia dai mancati successi di molte esperienze di automazione di uffici.
Si impose l'urgenza di avvicinare i due mondi, quello del progettista e quello dell'utente e l'usabilità, a partire dalla seconda metà degli anni '80, divenne l'obiettivo principale della HCI .
Per andare incontro a queste nuove esigenze, da un lato vennero introdotte nella progettazione linee guida sul fattore umano, dall'altro vennero allestiti i primi laboratori di usabilità. Obiettivo principale di un laboratorio di usabilità era quello di testare i prodotti con utenti potenziali, prima del lancio commerciale.
Lo studio dell'usabilità assunse un carattere prettamente empirico: promosse l'uso di prototipi, la partecipazione degli utenti alla fase di progettazione, enfatizzò l'uso di metafore per presentare le nuove funzionalità offerte dal sistema.
Questi studi diedero l'impulso alla creazione di linee guida sulla base delle quali la progettazione di un'interfaccia poteva garantire al prodotto finale i requisiti di usabilità.
Il metodo utilizzato veniva definito Design Iterativo e consisteva nella realizzazione di prototipi sui quali venivano condotti test di usabilità, che a loro volta indicavano le modifiche da effettuare per migliorare il progetto.
Questo nuovo approccio divenne ben presto largamente accettato e in molti si convinsero della necessità di progettare mediante l'utilizzo di prototipi; aumentò la partecipazione degli utenti alla progettazione e il metodo della creazione rapida di prototipi divenne, di fatto, uno standard.
In considerazione di questo approccio pratico alla soluzione dei problemi, si cominciò a parlare di Ingegneria dell'Usabilità.
Fine Anni '80, inizio Anni '90 - design iterativo
L'Ingegneria dell'Usabilità introdusse tre nozioni chiave:
Nel 1986 viene pubblicato il libro di Norman e Draper "User centered system design: New perspective on human-computer interaction".
Ci si rende conto che l'utente non può essere preso come un singolo individuo, ma visto come soggetto che appartiene a una cultura e a una organizzazione.
Il modo stesso di utilizzare le tecnologie è influenzato dallo specifico contesto all'interno del quale le tecnologie si trovano.
Per questi motivi l'introduzione di linee-guida sul fattore umano o la definizione di specifiche generiche non poteva portare alla reale usabilità dei prodotti.
Con il Modello User Centered, che inizia ad affermarsi su larga scala alla fine degli Anni '80, si riconosce l'importanza non solo delle capacità e dei vincoli fisici e cognitivi dei singoli utenti, ma anche delle relazioni culturali, sociali e organizzative, nonché degli artefatti cognitivi distribuiti nell'ambiente che influenzano il modo di lavorare dell'uomo.
Anni '90 - design partecipativo
La consapevolezza dei costi e degli sforzi di formazione, nonché l'alto numero di errori generati dall'interazione, costringe gli sviluppatori a mettere al centro della progettazione l'utente e le sue esigenze.
Si passa perciò dal diretto coinvolgimento degli specialisti al diretto coinvolgimento degli utenti.
L'utente partecipa a tutte le fasi definitorie del processo assumendo il ruolo di corresponsabile, insieme con il progettista, del prodotto finito.
La produzione del software non è più un processo lineare ma un processo iterativo in cui si perviene al risultato finale attraverso aggiustamenti successivi guidati dalla continua verifica delle esigenze e delle necessità dell'utente finale.
Il concetto di usabilità oggi
Attualmente il concetto di usabilità sta subendo delle trasformazioni dovute all'ingresso nella discussione sull' HCI di figure nuove, provenienti dall'antropologia e dalle scienze sociologiche, che spingono l'attenzione verso orizzonti più ampi, ai confini con l'etnografia.
Sono emersi problemi nuovi, legati non più all'aspetto tecnico ma alle implicazioni di carattere sociale, alle relazioni di potere tra utilizzatori di status diverso e al pericolo che l'esasperazione dell'usabilità possa portare ad un impoverimento dei compiti e delle qualifiche richieste ai lavoratori.
Ciò implica un mutamento della definizione di utente da Fattore Umano (tradizionalmente inteso come agente passivo e spersonalizzato), ad Attore Umano, vale a dire un individuo attivo, capace di controllo e scelta.
L'esigenza diventa, perciò, quella di abbandonare la ricerca di tecniche e linee guida valide per tutti, in qualsiasi occasione e di accettare di confrontarsi con la complessità che deriva dalla progettazione di strumenti dedicati a persone diverse tra loro, ognuna impegnata nei propri scopi e immersa nel proprio ambiente .
Attualmente il punto di riferimento della comunità che si occupa degli studi di usabilità per i prodotti ipermediali è Jakob Nielsen.
L'approccio di Nielsen è però oggetto di critiche provenienti da più parti: l'opinione dei designer di interfacce è che mettere l'usabilità al centro di tutti i prodotti, indipendentemente dal loro scopo, porterebbe a un rischio di omologazione delle interfacce che limiterebbe la creatività.
Altra accusa mossa a Nielsen è quella di un approccio integralista che lo porta a scagliarsi contro gli stessi tool di sviluppo di prodotti ipermediali.