Valutare e migliorare la perfomance nell’erogazione dei servizi pubblici in una prospettiva di soddisfazione dell’utenza
4 aprile 2012 - Proponiamo un interessante contributo dal titolo "Modelli concettuali e strumenti operativi per la valutazione e il miglioramento della perfomance dell’erogazione dei servizi pubblici in un prospettiva di soddisfazione dell’utenza". Il paper, realizzato da Carmine Bianchi, ordinario di economia aziendale e management pubblico, università di Palermo, è il risultato di un lavoro di analisi della performance in ottica di customer satisfaction, adottando una prospettiva diversa rispetto a quella tradizionalmente utilizzata, in particolare per il settore pubblico
La qualità dei servizi è stata riconosciuta come un rilevante aspetto caratterizzante la performance dell’azienda pubblica, analogamente alla capacità di operare secondo criteri di efficienza e nel rispetto dei vincoli di bilancio. Sebbene sia possibile riscontrare alcuni casi di customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche italiane, a tutt’oggi il tema presenta significative criticità, specialmente in ordine agli aspetti metodologici e agli strumenti operativi che consentano di integrare tali valutazioni nel sistema di programmazione e controllo e nel più ampio sistema di controllo organizzativo delle aziende che erogano tali servizi.
Il paper che presentiamo qui adotta una diversa prospettiva di analisi del miglioramento della performance in ottica di customer satisfaction, rispetto a quella tradizionalmente utilizzata, specie con riferimento al settore pubblico. Piuttosto che focalizzare soltanto l’interazione tra “cliente/utente” esterno all’amministrazione pubblica e unità direttamente preposte all’erogazione dei servizi, in questa sede si propone di una chiave di lettura di tipo interistituzionale. Tale prospettiva è volta a comprendere le criticità e i generatori di prestazione connessi allo svolgimento dei processi gestionali da cui deriva il conseguimento di “prodotti” dell’attività amministrativa a beneficio dei “clienti/utenti” interni ed esterni, rispetto all’amministrazione pubblica. La rappresentazione della “catena del valore” alla luce della quale sia possibile esplicitare le responsabilità e i connessi indicatori di performance volti a collegare in sequenza diverse unità di “back-office” nel settore pubblico, ai fini del miglioramento del servizio all’utenza finale, costituisce un momento fondamentale per internalizzare nella pubblica amministrazione gli stimoli provenienti dalle tradizionali indagini di “customer satisfaction” e tradurli in concreti miglioramenti ai processi gestionali e ai connessi “prodotti” dell’attività amministrativa.
L’esigenza di una prospettiva orientata all’apprendimento strategico nell’adozione dei sistemi di pianificazione e controllo da parte dell’azienda pubblica
Da più di un decennio si assiste ad un crescente interesse verso i temi della qualità e dell’efficacia dei servizi pubblici, oltre che dell’efficienza dei processi sottostanti alla loro erogazione. Questo fenomeno ha le sue radici in un movimento– denominato “new public management” –che, sin dall’inizio degli anni ‘80, in diversi paesi del mondo, ha comportato un radicale cambiamento nel ruolo del decisore politico e di quello tecnico e nei criteri per valutare la performance. Sono stati adottati nuovi approcci finalizzati a supportare l’assunzione di responsabilità (accountability) e le decisioni, sia sul piano politico che manageriale. Questi sono stati specificamente orientati a dotare la pubblica amministrazione di sistemi formali pianificazione e controllo, mirati a supportare la misurazione della performance, il benchmarking, e una migliore allocazione delle risorse.
Sebbene vi siano state delle esperienze positive su questo piano, spesso l’introduzione di sistemi formali di pianificazione e controllo ha prodotto effetti collaterali, riconducibili ai seguenti fenomeni:
- un aumento della burocratizzazione, in virtù di
- una focalizzazione sul dato, anziché sull’informazione;
- un’attenzione eccessiva verso il rispetto di scadenze per la produzione di rapporti informativi, anziché anzitutto verso l’analisi dei fabbisogni di informazione da soddisfare;
- un’enfasi eccessivamente riposta sull’elaborazione informatica dei dati e troppo poco, invece, sull’analisi degli aspetti organizzativi;
- una carente definizione di obiettivi, attività e indicatori di risultato, e un basso livello di coerenza tra essi intercorrente;
- una difficoltà di coordinamento tra obiettivi politici e gestionali, a causa della mancanza di dialogo strategico tra il livello del governo e quello del management;
- uno scollamento tra politiche intraprese da diverse istituzioni operanti con diversi ruoli nell’erogazione di un dato gruppo di servizi ai cittadini e alla più ampia comunità: da ciò è andato emergendo un crescente fabbisogno di joined-up government;
- una sovrapposizione di obiettivi e competenze e una mancanza di coordinamento tra diversi ministeri o assessorati di una medesima amministrazione preposta ad un dato territorio;
- una visione statica e parziale del sistema rilevante per l’adozione delle politiche pubbliche e delle scelte gestionali, spesso foriera di decisioni impulsive o non ponderate, frutto di una sterile e superficiale negoziazione di risorse tra diversi stakeholders;
- una scarsa comunicazione alla comunità degli esiti delle politiche intraprese.
Tale approccio alla progettazione dei sistemi di pianificazione e controllo e al loro sviluppo applicativo è in grado di produrre una illusione di controllo. Ma, ancor peggio, implica anche un elevato rischio di manipolazione nella definizione degli obiettivi e nella valutazione dei risultati.
I difetti sottostanti a questa prospettiva sono particolarmente significativi in virtù della crescente complessità ed imprevedibilità che caratterizza oggi i sistemi verso i quali le politiche pubbliche si vanno a relazionare.
Al fine di rendere non illusorio lo sforzo profuso dalle pubbliche amministrazioni verso l’adozione di sistemi formali di pianificazione e controlloè, dunque, necessario adottare una prospettiva non meccanicistica, orientata all’apprendimento strategico. Tale tipo di apprendimento consiste nel dotare i decisori operanti ai diversi livelli in un contesto politico-organizzativo, di una consapevolezza delle cause sottostanti ai fenomeni sui quali le loro azioni sono volte ad intervenire.
Questa diversa prospettiva sottende l’esigenza di un profondo cambiamento culturale – presupposto necessario per il cambiamento nel modus operandi – da parte degli attori-chiave dell’azienda pubblica: è necessario focalizzare l’attenzione sull’effettivo impatto dei servizi sui cittadini e sulla più ampia comunità, piuttosto che solo le azioni intraprese dall’operatore pubblico, secondo in una tipica prospettiva weberiana. Ciò significa che la performance non può essere considerata soddisfacente solo perché le azioni del dirigente siano conformi a quanto prescritto da leggi, regole e procedure. Oggi, a causa della carenza di risorse e della proliferazione dei fabbisogni e delle attese dei cittadini verso il settore pubblico, divengono importanti anche (e specialmente) la qualità, la capacità di lavorare in rete e di coordinarsi con altre istituzioni. In questo mutato contesto, il sistema di pianificazione e controllo non può essere limitato alla mera considerazione di fattori di input. È necessario intraprendere un processo di miglioramento continuo e misurare gli esiti (outputs e outcomes) delle attività, in modo tale che questi rispondano meglio alle diverse istanze indirizzate verso il settore pubblico.
Ciò implica che la formulazione delle decisioni politiche non possa limitarsi ad una visione di tipo incrementale. Essa richiede, invece, una maggiore capacità di comprendere ed interpretare la complessità dinamica. Richiede pure una capacità di generare sinergie, di comunicare e sincronizzare strategie tra diversi ‘attori’ coinvolti nei sistemi in cui il soggetto politico è chiamato ad operare. Ciò impone l’adozione di nuovi approcci e strumenti che possano supportare una visione condivisa dalla realtà intorno al sistema rilevante, da parte dei diversi "attori" coinvolti.
Quanto sopra determina l’esigenza di nuovo approccio al planning e al controllo, che devono essere considerati come un’unica attività, cioè come unico processo, orientato all’apprendimento.
Uno sforzo significativo è richiesto al soggetto politico per delineare il quadro concettuale e le principali relazioni causali sottostanti i programmi realizzati. Al dirigente si richiede, invece, di delineare opportuni obiettivi coerenti con i fini politici, e di allocare in modo efficiente ed efficace le risorse necessarie per il loro perseguimento nel tempo. Ciò differenzia in modo sostanziale il manager pubblico dal tradizionale burocrate. La responsabilità è sempre al cuore della funzione manageriale. Ma questa – seppur nel rispetto del quadro normativo e delle procedure – è anzitutto collegata ai risultati prodotti dal dirigente. Tali risultati devono essere valutati in funzione di programmi pro tempore delineati e di una verifica in itinere del grado di raggiungimento degli obiettivi e della loro plausibilità, alla luce di eventuali nuovi eventi, da recepire ed interpretare secondo una logica di feed-forward.
Le leve e gli ambiti di intervento per il perseguimento di una prospettiva orientata all’apprendimento strategico nel governo dell’azienda pubblica
Per descrivere questo cambiamento epocale – tutt’oggi in atto, con ritmi e modalità diverse, in numerosi paesi del mondo – David Osborne ha adottato un’efficace espressione figurativa – poi recepita anche dall’ONU – come quella di reinventare il governo delle amministrazioni pubbliche.
Con tale espressione si vuole sottolineare come un cambiamento radicale di prospettiva da parte di tali amministrazioni debba necessariamente focalizzarsi su una manovra sinergica di un numero di leve, a partire dalle quali sia possibile modificare il DNA del sistema di aziende pubbliche nel quale i diversi attori-chiave sono chiamati operare.
Tali leve di cambiamento sono ricondotte da Osborne ai seguenti elementi:
- la strategia centrale di governo (c.d. core strategy);
- il sistema di valutazione della performance (c.d. consequences strategy);
- il sistema di erogazione dei servizi verso il “cliente-utente” (c.d. customer strategy);
- il sistema delle aree decisionali (c.d. control strategy);
- il sistema dei valori e la cultura dominante nell’azienda pubblica (c.d. culture strategy).
Osborne sostiene che gli insuccessi delle amministrazioni pubbliche nell’adozione di una prospettiva di governo focalizzata sui risultati – piuttosto che solo sulle attività – derivano non tanto dall’incapacità delle risorse umane in esse operanti, quanto dall’adozione di un approccio meccanicistico al cambiamento, secondo il quale questo sarebbe possibile attraverso l’adozione di politiche isolate, nel tempo e nello spazio. Così, ad esempio, è illusorio immaginare che detto cambiamento possa essere efficacemente intrapreso attraverso la sola adozione di strumenti di rilevazione e misurazione, senza agire anche sulle altre leve sopra menzionate. Altrettanto illusorio è procedere ad un decentramento delle aree di responsabilità (spesso mediante la costituzione di apposite agenzie, contraddistinte da uno status giuridico privato) senza modificare i processi decisionali (e in particolare le relazioni tra “centro” e “periferia”) e i metodi di valutazione delle prestazioni, nonché i valori culturali dominanti, tutte variabili che attengono – rispettivamente – alla core strategy, alla consequences strategy e alla culture strategy.
Da ciò deriva che l’adozione di una prospettiva di pianificazione e controllo orientata all’apprendimento strategico richiede il ricorso ad un orizzonte temporale di riferimento non breve e ad una prospettiva sistemica che sia in grado di fornire degli elementi utili a governare la complessità specifica dei contesti in cui si è chiamati ad intervenire. Questo aspetto viene particolarmente enfatizzato da Osborne, con riferimento ai paesi in via di sviluppo e/o a quelli caratterizzati da una pervasiva corruzione; fenomeno che costituisce al contempo un rischio e una improcrastinabile esigenza verso una maggiore autonomia decisionale dei singoli “attori-chiave” operanti a stretto contatto con il cittadino-utente dei servizi pubblici.
Queste ultime considerazioni – fatte le debite proporzioni – sono proponibili anche per quanto riguarda il nostro paese. Al gap culturale che tutt’oggi contraddistingue buona parte dell’amministrazione pubblica – spesso ancora orientata più agli aspetti formali che a quelli sostanziali – si aggiunge un sistema istituzionale contraddistinto da specifici connotati di complessità, che rendono “debolmente connessi” numerosi enti dislocati lungo una ideale catena dalla quale si può generare o distruggere valore, ai fini della erogazione dei servizi pubblici.
Immaginare che il miglioramento della performance nella direzione delle attese del fruitore dei servizi pubblici possa passare soltanto dagli enti ubicati a valle di tale catena (e magari solo dalle loro funzioni di front-office) è spesso illusorio, in quanto tali enti sono configurabili a loro volta come "clienti" di altri istituti operanti – spesso con funzioni di indirizzo e coordinamento, promozione, supervisione e controllo – su un ambito territoriale di ordine superiore (ad es., a livello regionale o nazionale). Tale è il caso, ad esempio, dei servizi sanitari, o ancora della realizzazione di opere pubbliche in ambito comunale, o anche delle politiche per l'impiego e la riqualificazione professionale.
In tali contesti, un efficace processo di cambiamento, che veda la pianificazione e il controllo come leve di apprendimento strategico per il miglioramento della
performance, dovrebbe convenientemente adottare una prospettiva interistituzionale. Questa prospettiva dovrebbe, anzitutto, muovere dall’individuazione del “cliente-utente” al quale i “prodotti” finali dell’attività amministrativa sono destinati. A partire dai “clienti” e “prodotti” finali – procedendo a ritroso lungo la “catena del valore” che vede intrecciare l’attività di diverse amministrazioni tra loro sequenzialmente correlate nello svolgimento di una determinata funzione pubblica – si dovrebbero delineare i diversi “clienti”, interni al sistema delle aziende pubbliche, che ricevono dalle unità a monte ed erogano verso le unità a valle corrispondenti “prodotti” dell’attività amministrativa, strumentali all’erogazione del “prodotto-servizio” al cliente-utente finale.
In questa prospettiva, il perseguimento di un miglioramento dei livelli di soddisfazione dell’utenza dei servizi pubblici (c.d. customer strategy) è subordinato non soltanto alla capacità di cogliere e misurare i fattori che maggiormente influenzano tale gradimento, ma anche alla capacità di incidere sul medesimo. A ben vedere, tale capacità spesso dipende sia dalla possibilità di intervenire sui processi gestionali che collegano le unità di back-office con quelle di front-office, nell’ambito dell’ente che direttamente eroga il servizio al “cliente” finale, sia dall’efficace raccordo di tale intervento con il più ampio sistema (politico, interistituzionale, e interaziendale) sottostante. In particolare, nell’ambito di tale sistema si devono individuare gli “attori-chiave” preposti allo svolgimento dei processi amministrativi, nell’ambito delle diverse istituzioni operanti con funzioni di indirizzo, coordinamento, supporto e controllo, quasi fossero delle unità di backoffice, rispetto all’istituzione operante a valle ai fini dell’erogazione del “prodotto” finale.
Quindi, il perseguimento di una strategia di razionalizzazione e miglioramento del sistema di servizio – connessa alla valutazione del livello di soddisfazione dell’utenza – che focalizzi la leva della responsabilità e della “resa di conto” solo sul segmento terminale della catena del valore suddetta, rischia di non produrre gli effetti desiderati. Questi potrebbero essere plausibilmente generati, adottando una più ampia prospettiva di analisi e di intervento (che sottenda, peraltro, un orizzonte temporale sufficientemente lungo), in funzione della quale sia possibile agire sinergicamente sulle cinque leve di cambiamento strategico precedentemente menzionate, con riferimento ad un sistema rilevante i cui confini travalicano quelli della singola istituzione operante a diretto contatto con il cliente-utente.
Da ciò consegue che l’adozione di politiche e strategie orientate al miglioramento della performance nell’erogazione dei servizi pubblici in una prospettiva di soddisfazione dell’utenza richiede il ricorso a idonei modelli concettuali e a strumenti operativi, che consentano di acquisire una opportuna “chiave di lettura” della realtà sulla quale si desidera intervenire. Tali modelli e strumenti devono essere in grado di attivare dei processi di apprendimento strategico che coinvolgano i soggetti operanti in un sistema i cui confini spesso travalicano quelli delle unità a diretto contatto con l’utenza finale.
(Approfondimento a cura di Carmine Bianchi, ordinario di economia aziendale nell’università di Palermo)